IL PIZZICO
di Luca Pavanel
L’indipendenza del critico. Che tutti conosce ma di nessuno – o quasi – è amico. La forza del critico, acuto e preparato, davanti all’opera da “pesare”, di fronte all’uomo che l’ha vergata. Proteso verso l’oggettività. L’imparzialità del critico, influenzato solo da se stesso, attento a non farsi condizionare da tizio, caio e sempronio.
Quante qualità servono, in effetti, per poter occuparsi di critica. Certo, non si tratta del medico-chirurgo, perciò nessuno sotto i ferri rischia la vita; nemmeno di pm o giudici che, leggi alla mano, devono portare il peso di far giudicare o giudicare persone messe sotto accusa; e neppure missionari alle prese con infanzia maltrattata, epidemie, guerre e carestie. Ma lo stesso il mestiere del critico, su un altro piano, è di responsabilità: dare voti, valutare, certificare la cultura, può essere un gioco, nel senso che diverte, ma non da ragazzi. Qualche rischio infatti c’è.
In giro fra quelli che calcano i palcoscenici, ci sono sempre più protagonisti che se la prendono un po’ troppo, dimenticandosi che quando si è in scena, si devono mettere in preventivo non solo gli onori. Sì, è vero: il diritto di critica continua a esistere – ed è vietato scrivere sciocchezze – ma il caso che suona un po’ come “punirne uno per educarne cento” non è più una rarità. Tipo che se qualcuno sostiene che un’orchestra ha suonato così così, che un pianista non ce la fa a entrare nell’Olimpo, che un soprano è più forma che sostanza, apriti cielo: non per forza querele – che son capitate e capitano con esiti a volte da paura – ma qualche piccola ritorsioncina, quella sì, non manca. Dal teatro magari chiamano, l’artista è sopra le righe, l’agent press che dice “ce l’hai su con noi” e via così… Insomma, l’operetta continua.
Detto questo, c’è un’altra questione non meno importante: la nobile e difficile arte della critica pare che sia sempre meno praticata, almeno dai/sui media a larga diffusione. Un problema nel problema, e sembra proprio che alla fin della fiera non interessi granché, tra quanti decidono. Molto, lemme lemme, già da tempo si è spostato nelle retrovie della cosiddetta “nicchia” delle riviste specializzate, delle trasmissioni ad hoc, sui libri per appassionati. Sui giornali, solo in alto a sinistra, à côté, di “spalla”, di piede, sotto, sopra, poco nel mezzo, giusto se sono luoghi come la Scala, allora più spazio merita, il giorno della Prima. Tanti gli articoli di presentazioni, recensioni con taglio appena divulgativo, interviste, ma le recensioni… Merce difficile da reperire. E dire che in giro ci son fior di esperti, a guardar i profili vengono le vertigini, pronti a dispiegare una cultura che hanno coltivato come monaci certosini per anni e che poi magari non viene non valorizzata, di meno, neanche presa in considerazione.
Contribuisce pure la deregulation per cui “il pezzo” viene trattato alla stregua degli oroscopi gossip, da ridere, scritti dal primo che capita; non importa se l’esperto per un giorno non distingue il suono del pianoforte da quello del clavicembalo (nel senso che di quest’ultimo non conosce l’esistenza), non importa se nella vita ha fatto tutt’altro e che per caso si trova a occuparsi di concerti. Da non confondere il Diavolo con l’acqua santa, senza dare pagelle, solo qualche testimonianza raccolta qua e là, tra addetti ai lavori obiettivi, non obiettivi, soddisfatti, biliosi e rancorosi. L’umanità è varia.
Tanto per dire che per la popolazione italica si invocano chissà quali cure musicali, per aumentarne competenza e sensibilità (vedi la polemica sui tanto odiati flautini propinati da decenni agli alunni), poi ti sposti più in là, dove la cultura è materia di informazione e divulgazione, e trovi di tutto che convive con tutti: competenza a mille da una parte, ignoranza e indifferenza dall’altra, e nel mezzo tira aria da far west.
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