Recensioni • Dirigere un’orchestra moderna con un approccio filologico: l’interprete al Teatro Massimo di Palermo impegnato con pagine di Mozart e Haydn
di Monika Prusak
PREZIOSA OCCASIONE QUELLA DI VEDERE sul podio del Teatro Massimo uno dei più importanti direttori italiani di musica antica, Giovanni Antonini, fondatore e direttore dell’ensemble di strumenti storici Il Giardino Armonico. Questa volta l’interprete ha guidato un organico orchestrale ridotto del Teatro in un breve programma puramente Settecentesco: l’Ouverture del Don Giovanni mozartiano, la Sinfonia n. 36 in Do maggiore detta Linz sempre di Mozart e la Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore di Haydn. L’approccio di Antonini all’orchestra, deciso e disinvolto ma anche piacevolmente amichevole, si nota sin dalla sua entrata. È una bacchetta ferma dal gesto pesante, che indica l’andamento della musica, ma non la appesantisce, lasciando scorrere le agilità con leggerezza e chiarezza.
Nell’Ouverture l’orchestra perde a tratti la tensione, come se cercasse il giusto contatto con il direttore; ciò nonostante il suono rimane brillante e vitale. Antonini ottiene un effetto antichizzante grazie al lavoro sui timbri e sull’articolazione: il risultato aumenta ancora nella Sinfonia di Mozart in cui l’orchestra si lascia finalmente guidare in una interpretazione condivisa. Le due sinfonie hanno dei punti d’incontro, come l’introduzione lenta al primo movimento – caratteristica di Haydn – e il consueto alternarsi delle parti movimentate e lente, con Minuetto e Presto finale. Antonini sceglie tempi veloci, soprattutto nella danza che perde in eleganza, mostrando la sua origine popolare piuttosto che il pas menu della corte francese.
La scelta interessante di usare un suono leggermente ruvido e simile a quello degli strumenti storici, è completata da idee dinamiche, come la riuscita mancanza di crescendo nelle ripetizioni finali nel Mozart. Nell’ultima sinfonia il rapporto tra il direttore e l’orchestra diventa quasi viscerale, il che aiuta a ricreare la drammaticità della complessa partitura di Haydn. Spicca il primo violoncello, la cui parte nell’Adagio ricorda che siamo a un passo dal romanticismo, ma piacciono anche i fiati con ottoni dai timbri apocalittici tipici delle epoche successive. Un plauso va all’intera orchestra, soprattutto per la ottima resa della sinfonia haydniana con sorprendenti dinamiche e umorismo nella chiusura. Giovanni Antonini è stato applaudito calorosamente e richiamato sul palcoscenico ben quattro volte, ma non ha concesso al pubblico il meritato bis.
Giovanni Antonini | Teatro Massimo, 31 ottobre 2013
© Riproduzione riservata