Precisione. Ottime esecuzioni, ma non memorabile Le Sacre du printemps. Quando il Novecento, oltre all’esattezza, richiede anche la narrazione
di Luca Chierici
NON È NECESSARIO OGGI sottolineare una apparizione in concerto di Esa-Pekka Salonen appellandosi alla categoria dell’evento nuovo e inaspettato: 35 anni di attività come direttore, compositore, organizzatore musicale sono più che sufficienti per inserire a buon diritto la sua figura tra le più importanti e carismatiche nel mutevole e poliedrico mondo della musica classica, e non solo. Ci sarebbe semmai da lagnarsi sulla tardiva attenzione che la Scala gli ha riservato (la sua prima apparizione con la Filarmonica è del 2010) quando il suo nome era già ben noto ovunque, anche in Italia, dove diresse ad esempio un Pelléas a Firenze nel lontano 1989. L’appuntamento di lunedì scorso riportava Milano in linea con gli altri centri musicali che avevano già da tempo programmato la presentazione del suo Concerto per violino, portato in giro ovunque dopo la prima esecuzione a Los Angeles del 9 aprile di cinque anni fa. Su questo titolo si concentrava ovviamente l’attenzione del pubblico, almeno di quella parte che non è solita navigare in rete o ascoltare trasmissioni radiofoniche, sorgenti attraverso le quali era possibile da tempo farsi una idea intorno alla nuova partitura.
Il Concerto, vincitore nel 2012 di un cospicuo Grawemeyer Award for Music Composition è come molti sanno dedicato alla bravissima Leila Josefowicz, che anche in questa occasione si è dimostrata instancabile interprete di un lavoro non facilmente collocabile all’interno di rigide classificazioni. Out of nowhere è già un titolo che scoraggia qualsiasi riferimento a categorie pregresse e di certo non indicheremmo in questo Concerto caratteristiche in linea con gli approdi di certe avanguardie maggiormente strutturate. Si tratta piuttosto di un prodotto frutto di contaminazioni diverse, scritto da un musicista aperto a tutte le suggestioni e buon conoscitore di ogni meandro della letteratura novecentesca, con una parte solistica di estremo impegno e una aderenza a uno stile minimalista che giustifica le proporzioni piuttosto abbondanti della partitura e le altrettanto abbondanti ripetizioni. La scrittura violinistica non è certo ricca di novità e fa tutto sommato riferimento a una tradizione ben consolidata nei secoli, fatto questo che è stato sottolineato anche dallo stesso autore («Ho pensato che sarebbe stato interessante raggiungere un livello espressivo il più ampio possibile senza sconfinare nello sperimentalismo»). Momenti di sincero coinvolgimento si trovano più all’interno del movimento conclusivo (Adieu), scritto nel periodo terminale dell’incarico di Salonen come Music Director a Los Angeles, che nei convulsi Pulse 1 e 2, peraltro i più impressionanti dal punto di vista dell’impegno del solista. Dopo il successo di questa prima parte della serata, che era stata aperta attraverso un seducente biglietto da visita, Una notte sul Monte Calvo di Musorgski, l’attenzione era tutta puntata su quella che sulla carta avrebbe dovuto essere una esecuzione fuori dall’ordinario del Sacre du printemps stravinskiano. Una partitura immensa che alla Scala in molti ancora ricordano cesellata da bacchette famosissime, in particolare quelle di Boulez e Bernstein e successivamente di Ozawa e Gergiev. Che Salonen sia un direttore di razza risulta evidente a chiunque: gesto sicuro, una particolare attenzione alla divisione ritmica (in questo ricorda in parte il lato più meccanico della lettura di Boulez) ma anche alla gestualità danzante, anticonformista tipica di Bernstein. Ma il gesto di Salonen e la perfetta rispondenza dell’orchestra, con la quale egli ha davvero un rapporto privilegiato, non sono stati sufficienti a trasformare un’ottima esecuzione in un qualcosa di davvero memorabile. L’esattezza metronomica della scansione da parte di Salonen si è rivelata essere, come spesso accade, un discutibile luogo comune nell’interpretazione di molta musica del Novecento: esiste un percorso narrativo anche all’interno del Sacre, e di ciò l’altra sera si è avuta scarsa percezione. Teatro non completo nei posti in abbonamento, a causa dei ponti infrasettimanali, ma con uno zoccolo duro di ammiratori che hanno fatto sentire senz’ombra di dubbio la loro approvazione incondizionata nei confronti del direttore finlandese e della bella e brava violinista.
Concerto della Filarmonica della Scala | Direttore Esa-Pekka Salonen | Teatro alla Scala, 28 Aprile 2014
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