Al Bloom di Mezzago un ensemble di sei elementi per eseguire trascrizioni di brani tratti dal repertorio di band strumentali italiane di area math-rock, noise, avant-garde e «derive più o meno pesanti»
di Francesco Fusaro
ALLA LONTANA Bartók aveva una cosa del genere, se vogliamo. Parliamo ovviamente di trascrizione di musica folklorica mai riportata prima su carta pentagrammata. Quindi, mutatis mutandis, potremmo dire che il progetto del clarinettista Enrico Gabrielli di ripensare un repertorio come quello dei gruppi italiani appartenenti al più che variegato panorama del (diciamo per comodità tassonomica) rock indipendente per un ensemble cameristico (corno inglese, clarinetto basso, trombone e flicorno baritono, violino, pianoforte, percussioni) si inserisce in un ben collaudato filone etnomusicologico che ha dato frutti artistici di diversa entità e qualità. Attenzione però: l’intento di partenza, accennato da Gabrielli durante il concerto tenutosi in uno dei templi della musica rock in terra lombarda (quel Bloom di Mezzago dove mi dicono passarono anche i Nirvana per il tour di Bleach), non si limitava certo ad un mero proposito di archiviazione. Per quello, si sa, c’è il supporto discografico, fisico o liquido che sia. Lo spunto era invece rappresentato dalla volontà di dimostrare che i brani scelti per la trascrizione su carta, pur partendo da idee compositive molto lontane, arrivavano a lambire territori di pura sperimentazione classico-contemporanea. Come dire che gli estremi si toccano, anche se (semiserio) Gabrielli ribadiva: «Queste musiche sono state scritte per i kids, quelle dei compositori ancora non si capisce bene per chi siano state scritte». L’ironia coglie nel segno l’annoso problema della fruizione della musica contemporanea al di fuori dei circuiti dei connaisseurs lanciando però una sfida importante.
Sì, perché se è vero che l’audience radunatasi per riascoltare in questa nuova chiave brani di Aucan, Appaloosa, Bologna Violenta, Julie’s Haircut, Zu e molti altri non sembrava certo fatta di abitudinari delle sale da concerto e degli auditorium milanesi, è anche vero che essa ha dimostrato fin dal secondo brano un’attenzione al fatto musicale (data la necessaria compostezza puramente ‘classica’ degli interpreti) estremamente più concentrata di qualsiasi concerto rock, dove la musica normalmente rappresenta uno dei tanti fattori in gioco. Da un lato, quindi, la performance di questi (speriamo non) estemporanei Esecutori di Metallo Su Carta potrebbe avere gettato un seme in territorio fertile per portare nuovi ascoltatori al repertorio contemporaneo; cosa che, di per sé, porterebbe ad una serie di riflessioni ulteriori non adatte in sede di recensione. Dall’altra, guardando alla sola musica, Enrico Gabrielli ha dimostrato in effetti una vicinanza impressionante fra le intuizioni di questi fini musicisti rock alle qualità di compositori studiati come Louis Andriessen, Magnus Lindberg, David Lang, persino Charles Ives, per nominare solo alcune suggestioni musicali avute durante la serata. Quindi, al di là dell’interpretazione che certo avrebbe avuto bisogno di qualche prova in più, ribadiamo l’entusiasmo per un’operazione lontana anni luce per idee musicali e risultati artistici a certi sterili esercizi di incontro fra (per citare Luciano Berio) il repertorio della musica senza aggettivi e quello delle altre musiche.
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Esecutori di Metallo Su Carta | Mario Frezzato, corno inglese; Giovanni Colliva, clarinetto basso; Francesco Bucci, trombone e flicorno baritono; Rodrigo D’Erasmo, violino; Maria Silvana Pavan, pianoforte; Sebastiano De Gennaro, percussioni; Enrico Gabrielli, direzione e coordinamento