Il giovane pianista si è esibito alla Società del Quartetto di Milano con un programma dedicato a Chopin
di Luca Chierici
SI ERA PARLATO NON MOLTO TEMPO ADDIETRO addietro di un poco memorabile debutto milanese di Jan Lisiecki nel Concerto di Schumann, alla Scala, e in quella occasione ci eravamo ripromessi di tornare sull’argomento nel momento in cui fosse stato possibile ascoltare il pianista in un intero recital a lui dedicato. Bene ha fatto quindi la Società del Quartetto di Milano a riservare a Lisiecki una serata monografica svoltasi nel nome di Chopin di fronte a un pubblico che attendeva l’evento con notevole curiosità. Lisiecki, canadese di nascita e polacco per discendenza, è presente sui media da diversi anni, da quando cioè la televisione canadese ha iniziato a parlare di lui e a trasmettere frammenti video di sue esecuzioni avvenute quando il fanciullo aveva meno di dieci anni. Il fenomeno Lisiecki si è sviluppato con una velocità incredibile e da almeno quattro anni questo artista, che oggi ne ha diciannove, si è esibito nelle sale che contano con programmi molto impegnativi. A questa attività si è aggiunta quella discografica, che ha trovato uno sponsor di ferro in una delle etichette notoriamente più prestigiose. Il curriculum del pianista non cita peraltro né partecipazioni vittoriose ai concorsi obiettivamente più blasonati, né figure di pianisti famosi che lo abbiano accolto nelle file dei propri allievi. Lisiecki appartiene dunque a una categoria di artisti guardata da molti con sospetto, quella popolata da individui che spesso sembrano imporsi più per effetto di un marketing ben congegnato che attraverso indiscutibili qualità professionali. La mancanza di “certificazione” da parte di una giuria di concorso o di una figura che faccia per così dire da garante è in altre parole vista come elemento che rende più problematico un giudizio critico.
La sua figura di blond teenager del pianoforte lo aiuta certo a conquistare il favore di certa parte del pubblico, ma non è ovviamente di questo che vogliamo parlare, né del suo contagioso ottimismo che traspare da un rapporto con il pubblico molto easy, come oggi si conviene. A confronto con altri pianisti marketing-oriented, Lisiecki ha dalla sua una postura estremamente elegante, con scarsi movimenti del corpo e una mimica ridotta all’osso, di quelle che comunicano un coinvolgimento sincero con la musica. A differenza di quanto era avvenuto con lo Schumann ascoltato alla Scala, il giovane Jan esibiva l’altra sera un suono incisivo, a volte graffiante, con un peso sufficiente a riempire una sala di vaste proporzioni. Una qualità di tocco molto pregevole, senza sbavature, con uno scarso utilizzo del pedale di risonanza, sempre impiegato a fini espressivi.
L’impaginato del programma dedicato a Chopin era piuttosto strano (cosa ci si poteva aspettare da un pianista che ha aperto il proprio recital alla Wigmore Hall di Londra con il Minuetto e il Notturno di Paderewski come aperitivo prima della Partita in si bemolle di Bach?): il primo, brillante Valzer op.18 faceva da preludio ai Preludi op.28 nella prima parte, mentre nella seconda un singolo studio dell’op.10 introduceva i Notturni op.9 e i Valzer op.64. Il programma continuava con il Notturno in do# minore (op.postuma) e terminava con l’Andante e Polacca op.22 cui seguiva un solo bis, lo studio op.25 n.1. Una scelta che non era dettata né da affinità tonali, né da aggregazioni cronologiche o da una divisione per comparti della produzione chopiniana. L’esecuzione dei Preludi era affetta da una scelta decisamente criticabile. Si può discutere all’infinito sull’unitarietà del ciclo se si considera la frammentaria disposizione cronologica dei singoli numeri all’interno dell’arco creativo chopiniano, ma la pubblicazione come opera a se stante voluta dall’autore mette a tacere ovviamente ogni critica a riguardo. In base a questa considerazione non è piaciuta affatto la scelta da parte di Lisiecki di interrompere il flusso musicale tramite lunghe pause tra un preludio e l’altro, come se si trattasse di una serie di pezzi mancanti di qualsiasi parentela tonale, di qualsiasi affinità espressiva. Dal punto di vista interpretativo Lisiecki ha scelto di evidenziare una alternanza tra preludi in tempo lento e veloce: questi ultimi venivano eseguiti in maniera ancor più concitata, come a suggerire una lettura fondata esclusivamente sui contrasti espressivi. Sia nei Preludi che nel resto del programma Lisiecki ha del resto dimostrato di collocarsi in una categoria assai lontana dallo sperimentalismo, dalla ricerca di complicate e a volte artificiose caratteristiche che possano approdare a proposte non in linea con una tradizione che da molto tempo oramai è condannata a un mero processo di replica. Lisiecki, con un approccio del tutto naïf, in questo processo di replica si muove con evidente compiacimento. Non un singolo elemento del suo recital si poneva in contrasto con le linee interpretative seguite nel corso degli ultimi centocinquant’anni di pratica concertistica, con risultati solo raramente in linea con gli esempi più illustri (nella sola op.22 si coglievano chiare suggestioni derivanti da Michelangeli e Horowitz).
La poetica di Lisiecki non si rifà, in quel contesto, alle voci più interessanti che questa tradizione hanno tenuto fino a un certo punto viva e rinnovabile. Egli si pone piuttosto in linea con una categoria di interpreti “rassicuranti” che hanno per molto tempo contribuito a tramandare una visione addomesticata di Chopin e di altri autori popolari (come un flash, durante l’ascolto del concerto, ricordavamo le copertine dei dischi chopiniani di Alexander Brailowski, attraverso i quali la RCA entrava in tutte le case americane negli anni ’40 e ’50). È proprio questo motivo a far sì che la presenza di Lisiecki nel panorama concertistico odierno raccolga molti consensi: il suo approccio interpretativo è easy come il suo aspetto e il suo rapporto con il pubblico, che gli è grato perché lo aiuta a tramandare una modalità di ascolto senza problemi di un tipo di repertorio estremamente consolidato.
E per questo motivo, per tuffarci nuovamente in questo delizioso album di piacevoli ricordi di gioventù, forse Lisiecki lo andremo di nuovo ad ascoltare. A maggior ragione se il suo cammino, che è ancora verosimilmente molto lungo, proseguirà in direzione di altri e più impegnativi approdi.
© Riproduzione riservata