In “prima” assoluta a Bologna il rifacimento degli intermezzi, attuato da Djagilev per i Ballets russes. Di riferimento la lettura musicale, curata per intero dal giovane direttore Elia Corazza
di Francesco Lora
TUTTI CONOSCONO la Serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi (Napoli 1733), coppia d’intermezzi che fu un modello di stile in Italia e un caso filosofico in Francia. I più esperti conoscono anche la Serva padrona di Giovanni Paisiello (Carskoe Selo, presso San Pietroburgo, 1781): impiegato alla corte di Caterina II di Russia e non avendo a portata di mano libretti italiani nuovi, il compositore mise in musica una seconda volta quello di Gennarantonio Federico, cavandone un altro piccolo capolavoro del genere buffo. Ma pochi sanno dell’esistenza di una terza Serva padrona, con una storia avventurosa giunta a buon fine solo pochi giorni fa: la ripercorriamo parafrasando le note di Elia Andrea Corazza, direttore d’orchestra e musicologo, al quale dobbiamo la prima idea dello spettacolo qui recensito.
Il manoscritto fu archiviato nella biblioteca di Djagilev, passò quindi tra i materiali del segretario Serge Lifar, fu battuto nel 1984 a un’asta Sotheby’s
Negli anni della Prima guerra mondiale l’impresario Serge Djagilev, a caccia di partiture sconosciute da riusare per i propri Ballets russes, conobbe la Serva padrona di Paisiello e s’innamorò di quella pièce sanpietroburghese dimenticata. Incaricò quindi Ottorino Respighi d’intervenire sul materiale originale per confezionare un nuovo lavoro adatto alle sue necessità: indicò i tagli da apportare ad arie, duetti e recitativi, chiese che quest’ultimi fossero tutti riscritti in forma accompagnata e individuò altre composizioni paisielliane dalle quali estrapolare melodie. Respighi ammirò a sua volta l’originale di Paisiello, riorchestrò con mano leggera e, nelle parti nuove, fondò la propria personale, brillante, notevole concezione di neoclassicismo musicale. Nel 1920 la nuova partitura era pronta, mentre Djagilev già pensava a un ripensamento dell’intero lavoro in forma di pastiche cantano e danzato: qui la collaborazione tra compositore e impresario si arenò, il manoscritto fu archiviato nella biblioteca di Djagilev, passò quindi tra i materiali del segretario Serge Lifar, fu battuto nel 1984 a un’asta Sotheby’s e acquistato da Frederick R. Koch che ne fece infine dono alla Beinecke Library di Yale.
Ora Corazza ha curato l’edizione critica di questa terza Serva padrona e ne ha diretta la prima esecuzione assoluta nella rassegna “Atti sonori” (con la collaborazione del Teatro Comunale di Bologna): tre recite all’aperto, dal 5 al 7 agosto, nel cortile del Piccolo Teatro del Baraccano. Per l’entusiasmo riposto nel progetto, per il lavoro svolto di persona a ogni fase, per la conoscenza critica del repertorio e per il dimostrato talento di concertatore, il giovane direttore ha portato al battesimo l’operina di Paisiello-Respighi dandone una lettura di riferimento: Orchestra del Comunale impegnata come non mai, ritmo narrativo incalzante e musica messa in risalto nel suo brio luminoso ed energico, ossia proprio in ciò che cent’anni fa poteva solleticare Djagilev e motivare Respighi. Di grande interesse è altresì la prova di Davide Bartolucci, baritono ventottenne forbito nella tecnica, scaltro nella comunicativa e disinibito sulla scena: nella parte di Uberto egli si segnala tra i più promettenti rari buffi sui quali il teatro d’opera possa oggi contare. L’esito del soprano Maria Rosaria Lopalco, come Serpina, è nel complesso più ordinario ma anche più meritevolmente sudato: soprattutto in questo caso la scrittura vocale, tesa dallo stile settecentesco di Paisiello, cordiale e cantabile, a quello novecentesco di Respighi, frastagliato e imprevedibile, impone infatti un costante sforzo di acclimatamento tecnico di brano in brano.
Ben riuscito anche lo spettacolo con regìa di Paolo Billi e scene di Stefano Iannetta, sbilanciato verso una realizzazione coreografica ove domina il Vespone del mimo Elvio Pereira de Assunçao. Lo spettacolo sarebbe difficilmente decodificabile, tuttavia, senza il soccorso di una nota drammaturgica. L’azione è trasportata negli anni della collaborazione tra Djagilev e Respighi: si assiste al gioco di ruolo tra un impresario «dandy autocrate ed esteta» e «un’amica, aristocratica dama»; essi «decidono di jouer, per scherzo, la Serva padrona»: «l’inganno della serva al suo padrone viene trasformato in un gioco in cui l’impresario Uberto è perso dietro a Vespone, il suo ballerino preferito». A volerla raccontare tutta, in questo danzante Vespone vezzeggiato dall’Uberto-Djagilev riprende corpo il mitico ballerino Vaclav Fomič Nižinskij, dipendente dell’impresario e suo amante in carica nonostante il matrimonio di copertura: un servo padrone.