
Lorna Windsor e il duo Canino-Ballista a MiTo: in programma pagine di raro ascolto di George Butterworth, Ivor Gurney, André Caplet
di Attilio Piovano
Molti i concerti di spicco e gli appuntamenti dal succulento contenuto, per MiTo, sul versante sia milanese che torinese: dopo l’inaugurazione del Festival, il 4 settembre, al Regio, con la Budapest Festival Orchestra diretta da Fischer e un programma a dir poco bislacco (dallo Schubert dell’Incompiuta apparsa un po’ stranita, al Kodály delle superbe Danze di Galánta, passando per Dvořák e Brahms, il sublime Mahler liederistico e i corrivi valzer degli Strauss, con capolavori di rara intensità e pagine di intrattenimento), un programma che – fatta salva la bravura dell’orchestra (ma non del solista, il mediocre baritono Roman Trekel) – ha un po’ destabilizzato pubblico e critica destando perplessità. Come pure non ha entusiasmato l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali il 5 guidata dall’estroso Sergio Alapont (con la promessa nipponica del violino Sunao Goko, appena ventenne e ancora bisognoso di maturare: si è misurato col Beethoven dell’op. 61). Il primo successo strepitoso è stato la sera del 7 al Lingotto – manco a dirlo – con l’inossidabile Temirkanov e la ‘sua’ Filarmonica di San Pietroburgo e le emozioni sono fioccate già con Ljadov (il fiabesco Kikimora delizioso poema sinfonico formato mignon, centellinato con grazia) quindi con uno Stravinskij da manuale (Petruška) e infine con le effusive atmosfere di Čajkovskij (selezione dallo Schiaccianoci) e i graditi bis: di Elgar (Salut d’amour dalla grazia un po’ frale) e Albeniz-Shehdrin (Tango, ibridato di percussioni). E ci siamo riconciliati con la grande musica, ammirando ancora una volta una delle orchestre migliori al mondo in tutte le sue sezioni, sedotti dal magnetismo che promana Temirkanov e dalla sua fluida naturalezza. Ieri sera, poi, 8 settembre, al Teatro Carignano, serata davvero speciale con il soprano Lorna Windsor ed il duo di lungo corso Canino-Ballista, volto a commemorare la Grande guerra (a Milano si erano esibiti domenica).
Un programma a tema, davvero intrigante, con pagine per lo più cupe, talora lugubri, ma di grande intensità, riverbero dell’immane tragedia. E allora la vocalità cameristica della Windsor a restituire la fragranza delicata di un paio di liriche dello sfortunato ufficiale britannico George Butterworth (On the idle hill of summer e Is my team ploughing?) che un destino crudele rapì in azione bellica, mentre combatteva in Francia, appena trentunenne, ma anche sul versante del raffinato Caplet che morì bensì nel 1925, a seguito dei postumi di avvelenamento da gas contratto durante la guerra (la toccante Croix douloureuse). Così pure la Windsor, di volta in volta accompagnata alla tastiera da uno dei suoi due impeccabili dioscuri, ha ben colto l’effusivo lirismo imbevuto di tenerezza della dolce Severn meadows di Ivor Gurney anch’egli vittima dei gas nemici. Autori minori e giganti quali Ravel e Debussy ed ecco pagine sublimi come le Deux mélodies hébraïques, il solenne lamento funebre in aramaico (Kaddish), che la Windsor ha interpretato con rara profondità, mettendolo poi a reagire con l’agrodolce ironia dell’universo yiddish, popolaresco e plebeo, dell’Enigme eternelle. E ancora: pagine del sovra nazionale Stravinskij e dal Requiem di Delius, il trepidante Noël des enfants qui n’ont plus de maisons frutto di un Debussy in stato di grazia.
E proprio Debussy campeggiava anche sul côté pianistico, testimoniato dall’evanescente Les soirs illuminés par l’ardeur du charbon (che Ballista ha trattato con mano felice e molta sapienza di tocco), la poco eseguita Berceuse héroïque in onore del Re del Belgio e delle sue truppe, dalla dilagante tetraggine, giù giù sino alle scabre atmosfere di En blanc et noir per due pianoforti con la quale Canino e Ballista (intesa perfetta, del resto suonano insieme da lunghi decenni) da par loro hanno chiuso la serata, sostenendone con sicurezza la poliritmia della e accarezzandone le mille preziosità. Serata che si era aperta nel segno delle atmosfere cubiste, angolose e graffianti delle Pagine di Guerra del ‘nostro’ Casella, tra i pochi musicisti italiani della sua generazione di caratura davvero europea. E si sente. Guardava a Stravinskij e a Ravel. Quello stesso Ravel rappresentato in scaletta anche da due pagine dal neo classico Tombeau de Couperin, il leggiadro Menuet e il robusto Rigaudon dalle squadrate fraseologie. Pubblico non particolarmente folto, ma molto attento, consapevole di essersi trovato di fronte ad un unicum, un raro concentrato di pagine scaturite dalla barbarie della Grande Guerra. Bis ‘a tre’ nel nome di Kurt Weill / Bertolt Brecht e la Windsor che tentava di emulare Ute Lemper (riuscendoci solo in parte, sia vocalmente sia quanto a pur ottima presenza scenica e gestualità).