Standing ovation in Sala Verdi del Conservatorio per la pianista e l’Orchestra giovanile dello stato di Bahia diretta da Ricardo Castro
di Luca Chierici
L’ORCHESTRA GIOVANILE dello stato di Bahia è una realtà nata nel 2007 dall’esempio del famoso “El Sistema” venezuelano ed è oggi formata da un centinaio di elementi che hanno presto girato il mondo suonando spesso a fianco di solisti famosi, guidati dal loro direttore e fondatore Ricardo Castro. I punti di forza di un’orchestra siffatta, alla quale certo non si possono chiedere i livelli di eccellenza caratteristici di formazioni di ben altra estrazione ed esperienza, risiedono in un entusiasmo palpabilissimo da parte di tutti i partecipanti, di una musicalità spesso innata e nella voglia di imparare e migliorare ogni giorno di più le “regole” che portano a una crescita professionale adeguata senza per questo rinunciare all’approccio naturale e spontaneo di partenza.
La seconda parte del concerto tenuto in Sala Verdi a Milano lo scorso 11 settembre, inserito nella programmazione del festival MiTo, ha dimostrato sul campo di che pasta siano fatti questi straordinari ragazzi che hanno musica e ritmo nel sangue e che hanno trascinato il pubblico in una festa entusiasmante a suon di Bernstein e Villa-Lobos prima e, nei bis, coinvolgendo tutti i presenti attraverso i ritmi e le melodie tipiche della loro terra.
Il rapporto tra l’orchestra e il repertorio classico è fondato su una sintonia non superficiale ma ancora da mettere a punto nonostante gli sforzi e l’entusiasmo dedicati dal direttore principale e formatore stabile, e questo lo si è capito fin dall’inizio del Concerto di Čajkovskij che ha aperto la serata, protagonista da brivido la grandissima Martha Argerich. Anche in questo caso si è ripetuto un fenomeno che sembra essere storicamente insito nel carattere di questa pagina famosissima. Il Concerto visse dapprima la fondamentale incomprensione del dedicatario, Nicolai Rubinstein per affermarsi poi attraverso esecuzioni leggendarie che hanno spesso sottolineato il carattere conflittuale tra solista e direttore in un discorso che spesso contrappone in modo violento le parti o pretende una sincronia di effetti difficilissima da rispettare, soprattutto se la personalità del pianista tende ad imporsi in maniera perentoria come è accaduto con Martha Argerich. La storia delle esecuzioni di questo concerto è costellata di esempi famosi là dove solisti celebri hanno impresso la loro inflessibile scelta nel condurre il gioco di tensioni e distensioni che solo può vivificare una partitura così spettacolare. Il debutto di Horowitz in America nel 1928 è rimasto in questo senso proverbiale perché vide una vera e propria sopraffazione da parte del celebre virtuoso nei confronti di Thomas Beecham. Ma anche una notissima esecuzione fortunatamente filmata nel ’68 dalla RAI a Torino, con il già vetusto Arthur Rubinstein e l’orchestra diretta da Pietro Argento ci mostra il grande vecchio imporre negli ultimi minuti la propria andatura garibaldina in contraddizione con le scelte del direttore che tentava disperatamente di risolvere una situazione di impasse.
Rispetto alla lettura offertaci dalla Argerich a Verbier lo scorso 18 Luglio con l’espertissimo Charles Dutoit che accompagnava la ex consorte ripetendo una consuetudine che si faceva risalire a molto tempo addietro qui abbiamo ascoltato un insieme all’inizio molto più problematico, soprattutto per le scelte troppo prudenti del direttore Ricardo Castro. Ancora al di sopra di ogni aspettativa, la Argerich ha però deliziato il pubblico con una prestazione al calor bianco che alla fine ha suscitato applausi, grida di “Divina !”, standing ovation quali non si vedevano in Sala Verdi da moltissimo tempo, almeno dall’ultimo mitico recital del già nominato Rubinstein, nel 1976.