Gianandrea Noseda ha diretto con successo la verdiana Messa da Requiem: teatralità e intimismo
di Attilio Piovano
MAESTOSA E APPLAUDITA APERTURA di stagione al Regio di Torino: la musica e i valori della cultura sono emersi in primo piano, ragionevolmente prevalendo di gran lunga – ed è quanto tutti ci si attendeva – ben al di là delle un po’ sterili polemiche (a dire il vero enfatizzate oltre ogni misura da quotidiani e media) che hanno infuocato l’estate, ossia la querelle che ha visto contrapposti, più in apparenza che nella sostanza, la sovrintendenza (Walter Vergnano) e la direzione musicale (Gianandrea Noseda).
E proprio Noseda – come previsto – è salito sul podio la sera di martedì 30 settembre per dirigere la verdiana Messa da Requiem che coro e orchestra del Regio hanno interpretato con immenso successo nel corso degli ultimi anni in tutto il mondo: da Vienna a Tokyo, da Dresda a San Pietroburgo, dovunque riscuotendo ampi consensi di pubblico e di critica. Un’orchestra in gran forma, quella del Regio, perfettamente all’altezza della situazione, per flessuosità, vigore, ma anche bellezza di timbri, fraseggi e delicatezze sonore, un’orchestra affettuosamente vicina al ‘suo’ direttore, Noseda, per l’appunto (i professori d’orchestra lo avevano dimostrato in maniera plateale nel corso di uno dei concerti di MiTo in occasione del rossiniano Stabat mater serrandosi a fine serata attorno al podio con gesto accorato e inequivocabile, quasi a voler significare: non lasciarci). Orchestra ricompensata per il grande impegno con una decina di minuti di applausi convinti ed entusiasti da parte di un pubblico al settimo cielo al termine di una emozionante interpretazione del capolavoro di Verdi, partitura dalla insita e innegabile teatralità e dalla irresistibile ‘presa’ sull’ascoltatore. Gran protagonista il coro, ottimamente istruito da Claudio Fenoglio, un coro poderoso e vibrante che non si è certo risparmiato, e pur capace di mille sfumature. E allora pianissimi da brivido nei momenti più diafani della partitura – per dire, l’attacco del Requiem aeternam e il sillabato del Libera me – per contro lancinanti saette nel tellurico, incandescente Dies Irae al quale Noseda imprime un’inaudita tensione drammatica con un range di dinamiche a dir poco strepitoso (bene la coreografica disposizione di trombe e ottoni nei palchi laterali), ed è giusto così, ad onta di chi gli imputava qualche eccesso di ‘volume sonoro’. Il Dies Irae deve essere tale: impressionante, terrifico, monumentale e animatissimo, sferzato da sonorità fin selvagge, rombare di percussioni e baluginare di legni, rutilanti e corruschi ottoni, al di sopra di tutto le voci. La Messa da Requiem del resto è così: prendere o lasciare, teatralità e intimismo (i toni struggenti del Lacrimosa) vi convivono con fascinosa, inconciliabile contraddizione, l’importante è sapervi imprimere i colori giusti, l’opportuna lettura. Perfezione pressoché assoluta negli insidiosi passi a voci scoperte che Noseda dirige con una partecipe attenzione, quasi accarezzando le voci (e rinunciando alla bacchetta d’ordinanza), tutti i dettagli ritmici ed espressivi sono emersi al meglio, perfettamente a posto, a restituire nella sua bellezza la grandiosità di un affresco di grande impatto.
Molto equilibrato, poi, il quartetto dei solisti: in primis il soprano Erika Grimaldi, futura Desdemona, che ha magnificamente debuttato nella Messa da Requiem (chiamata all’ultimissimo, dopo la defezione della prevista Hui He), ammirata per l’appropriatezza delle emissioni, la grazia dell’afflato e la partecipe, toccante performance; così pure assai apprezzato il mezzosoprano Daniela Barcellona (entrambe già si erano prodotte con vivo successo nello Stabat Mater settembrino) quindi il tenore Gregory Kunde (in sostituzione del previsto Jorge de León), artista oggi al top a livello internazionale, cantante dalla voce possente e dai fraseggi ricchi di indicibile espressività, da manuale il suo Ingemisco (sarà prossimamente al Regio anch’egli in Otello), infine il navigato ed esperto basso Michele Pertusi dalla autorevole vocalità. Nel terzetto del Quid sum miser i solisti hanno regalato emozioni intense, laddove Noseda ha ‘spinto’ verso vertici assoluti nel vigoroso Rex tremenda imprimendo al Sanctus un singolare e deciso piglio ritmico; bene il delicato Agnus e lo stupefacente Lux aeterna. Nei passi fugati, già lo si accennava, merita pur tuttavia rimarcarlo a chiare lettere, Noseda (dirigendo con la consueta ed ipercinetica ‘animazione’, gesto icastico e, al contrario di molti altri, assolutamente funzionale al risultato che si prefigge) ottiene una perfezione pressoché assoluta dalla doppia compagine, sinfonico-corale, staccando tempi assai incisivi. Teatro al completo, applausi a non finire e vere e proprie ovazioni (come ha constatato chi ha seguito la diretta radiofonica). Repliche fino al 7, poi appuntamento al 14 ottobre per la ‘vera’ apertura sul fronte squisitamente teatrale, e allora ancora Verdi e l’Otello. Sul podio Noseda, regia di Walter Sutcliffe, tra i solisti le voci di Kunde e di Ambrogio Maestri.