Un ciclo di quattro concerti al Teatro alla Scala per l’esecuzione di un repertorio che è nel suo insieme di raro ascolto dal vivo. Ieri l’ultimo appuntamento
di Luca Chierici
ILCICLO SCHUBERTIANO attorno al quale Daniel Barenboim ha lavorato alacremente durante il suo pur impegnatissimo 2014 è approdato felicemente anche a Milano, dove il Teatro alla Scala ha ospitato quattro serate per molti motivi eccezionali. L’ascolto delle undici sonate per pianoforte portate a termine da Schubert tra il 1816 e il 1828 non è avvenimento frequente: si tratta di un repertorio che storicamente incontrò molte resistenze da parte di interpreti e pubblico per motivi che solamente la moderna musicologia è stata in grado di mettere a fuoco e che si possono riassumere in una concezione affatto nuova dei rapporti tonali e del carattere dei temi utilizzati dal musicista all’interno di lavori di dimensioni considerevoli.
Il ciclo delle sonate di Schubert è stato per me una grande avventura e una scoperta
– Daniel Barenboim
La natura sfuggente della narrativa schubertiana, così lontana dall’assertività che contraddistingue la dialettica beethoveniana nelle trentadue sonate ha per lungo tempo allontanato l’interesse di pianisti anche di grandissima statura, tanto che la rivalutazione di queste vere e proprie gemme ebbe inizio solamente nella metà degli anni Trenta del secolo scorso con una pionieristica, seppure parziale incisione discografica di Arthur Schnabel. Successivamente furono artisti del calibro di Kempff, Richter, Lupu, Brendel, a dedicarsi con ardore alle sonate di Schubert e da noi il solo Maurizio Pollini esplorò fin da giovane sei sonate tra le più importanti. Un ciclo ancor più completo, che includeva numerose sonate incompiute, venne a dire il vero presentato a Milano per le Serate Musicali a metà degli anni Novanta da András Schiff, ma la proposta odierna di Barenboim gode di un supporto non indifferente da parte della sua casa discografica e si inserisce in una programmazione di attività di grande respiro europeo che vedono la ripetizione del ciclo presso varie sedi prestigiose.
È stato lo stesso Barenboim a dichiarare la sua parziale estraneità nei confronti di questo repertorio fino a non molto tempo fa, e il suo entusiasmo man mano che il proprio lavoro di approfondimento andava configurandosi per il compimento di questa impresa. Entusiasmo che è stata la caratteristica più palpabile di queste serate, assieme alla qualità di suono che Barenboim ha come sempre esibito per la delizia dei presenti. Il suo è un pianismo sempre molto inventivo, a volte imprevedibile anche nella mancata esattezza di certi particolari che offuscano a tratti l’omogeneità del messaggio.
Ma i momenti di poesia e di intimo colloquio con questi testi meravigliosi hanno comunque costituito la parte essenziale di tutti e quattro gli appuntamenti e non sapremmo indicare in una o più specifiche sonate i traguardi di maggiore bellezza. Il pubblico, all’inizio non foltissimo, ha tributato un omaggio sincero al grande pianista e a una musica che al di là del puro fatto estetico richiede una forte concentrazione di ascolto, tanto profondi sono i significati nascosti sotto la patina di celestiali melodie. Il recital conclusivo che ha avuto luogo ieri sera si è tramutato alla fine in una vera e propria festa di applausi per un artista che sta per lasciare – alcuni dicono definitivamente – il palcoscenico che lo ha visto protagonista in questi ultimi anni.