L’esecuzione delle prime tre parti di una rara messa nella chiesa dei Carmini a Venezia, in occasione del Concerto delle ceneri. Gli interpreti Scuola di Musica Antica del Conservatorio “Benedetto Marcello” sono stati diretti da Francesco Erle
di Cesare Galla
VERSATO IN TUTTI I GENERI MUSICALI sacri e profani – dall’opera all’oratorio, dalla sonata al mottetto – Giovanni Legrenzi è autore che ancora attende una completa considerazione esecutiva, dopo la crescente attenzione degli studi storici e musicologici. Benissimo ha fatto, quindi, Francesco Erle, a dedicare al musicista veneziano originario di Clusone in provincia di Bergamo (dov’era nato nel 1626) il tradizionale Concerto delle Ceneri, nato 12 anni a Venezia fa per iniziativa del prof. Giulio Cattin nell’ambito delle attività della Fondazione Levi, di cui il musicologo vicentino era il direttore scientifico. Cattin è scomparso ottantacinquenne l’1 dicembre dello scorso anno, e alla sua memoria è stato dedicato il concerto, che si è tenuto nella chiesa di Santa Maria del Carmelo, ideale per barocche assonanze architettoniche come pure per la presenza di un doppio coro. Quanto di meglio per l’esecuzione dei pezzi forti della serata, le prime tre parti di una messa inedita a quattro cori e basso continuo.
Il manoscritto di quest’opera, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana, era fino a poche settimane fa ritenuto mutilo del resto dell’Ordinario dopo la sezione Et unam sanctam. Recenti controlli hanno permesso di recuperarlo nella sua interezza e l’esecuzione veneziana, certamente una prima in tempi moderni, ha quindi assunto il carattere di un’anticipazione. Utile tuttavia per cogliere bene l’eccezionalità di una composizione che presenta numerosi elementi di interesse e solleva non poche questioni di carattere storico.
Le principali riguardano l’epoca, l’occasione e la committenza di una partitura monumentale come questa, destinata a un organico particolarmente nutrito sia sul versante vocale, con la distribuzione delle parti in quattro cori e 17 voci, sia su quello strumentale. In maniera persuasiva, Erle ritiene che la Messa debba essere ascritta agli ultimi anni di Legrenzi, all’epoca in cui (dopo il 1683) egli era a capo della Cappella di San Marco, dei cui organici notoriamente aveva promosso un notevole irrobustimento. Tuttavia, non per la basilica marciana potrebbe essere stata scritta questa Messa (a San Marco la prassi corrente all’epoca era quella delle missae brevis) ma per le chiese di Santa Maria dei Derelitti o di Santa Maria della Fava, con le quali il musicista aveva stretti legami. E l’occasione, collocando la composizione nell’ultimo decennio di Legrenzi, morto nel 1690, potrebbe essere stata la celebrazione delle vittorie di Francesco Morosini in Morea.
Quanto allo stile, splende in questa musica l’eclettismo omogeneo e intelligente di cui sempre Legrenzi si fece portatore: la sofisticata e ardita trama polifonica e l’arcaico ricorso alla policoralità si integrano duttilmente con intenzioni espressive ben altrimenti “moderne”, da un lato collegate alla teoria degli affetti di matrice operistica e dall’altro a una struttura armonica sempre più incline a soluzioni sofisticate ed evocative, per giungere a quelli che Erle definisce “squarci di luce caravaggesca rivelanti profondità di sentire e viva umanità”.
Intorno alla Messa, il programma ha proposto un interessante e approfondito sguardo su altri aspetti della musica di Legrenzi: ecco allora due Mottetti a due voci (dalla raccolta pubblicata a Venezia nel 1660) con lo squisito apporto solistico in un caso di Giulia Bolcato e Ilenia Tosatto e nell’altro della stessa Bolcato e di Valeria Girardello, delicato punto d’incontro fra sensibilità sacra e spirito profano. Ecco una Sonata per quattro viole da gamba e basso continuo (dalla raccolta La Cetra pubblicata nel 1673) e soprattutto il conclusivo Magnificat per due cori, due violini, tre viole e basso continuo, sontuoso Cantico pubblicato nel 1667, che mostra tutta l’eleganza, la ricchezza, la profondità e varietà espressiva dell’arte di Giovanni Legrenzi, culmine del Barocco veneziano maturo. Gli interpreti della Scuola di Musica Antica del conservatorio “Benedetto Marcello” – cantori e strumentisti – si sono proposti con coesione e nitidezza di appropriata consapevolezza stilistica. Francesco Erle li ha guidati con calore e vivezza coinvolgenti, frutto di appassionata profondità espressiva non meno che di illuminante rigore analitico.
Caro Lettore, se hai apprezzato questa recensione valuta la tua adesione al Club del Corriere Musicale, area premium dedicata ai più appassionati: sosterrai l’attività di questa rivista digitale permettendo anche la gratuità di articoli come questo. Vai allo Scaffale | Registrati