Stéphane Lissner, ex Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro alla Scala, attualmente Direttore dell’Opéra National de Paris, non riconosce alcune notissime pagine della lirica. Lui si difende: «I grandi classici sono quelli che mi piacciono di meno»
di Ilaria Badino foto Francois Guillot/ AFP
«AHI! AHI! AHI! Signor Lissner…», avrebbe esclamato con enfasi l’indimenticabile Mike Bongiorno. Se si fosse trattato di un quiz normale sottoposto ad un normale concorrente. Ma, in questa storia, di normale non c’è nulla: si sfiorano, anzi, i confini di un abnorme, doloroso, inaccettabile subnormale. Perché l’unico partecipante al test culturale in questione è forse la personalità più potente nell’ambito dell’organizzazione della musica classica a livello mondiale: nientepopodimeno che Stéphane Lissner, appunto, ex-Sovrintendente e Direttore artistico scaligero per quasi un decennio ed attuale Direttore dell’Opéra National di Parigi («anche per pregio artistico», si legge nella motivazione alla nomina).
Onore al merito alla presentatrice Hedwige Chevrillon, quindi, che nei pochi minuti messile a disposizione dal programma francese Qui êtes-vous?, mostra di non avere timor panico alcuno ed annuncia laconicamente al malcapitato che verrà messo alla prova sui grandi classici dell’opera. «Proprio quelli che mi piacciono di meno», si giustifica Lissner a priori.
Si parte con «Ebben? Ne andrò lontana» dalla Wally. Il celebre concorrente giochicchia nervosamente con il bottone di una lussuosa poltrona in pelle bianca e, in palese imbarazzo, bofonchia: «Norma, penso», confondendo in maniera clamorosa Bellini con Catalani, mescolando Belcanto e Giovane Scuola, facendo eseguire alla sacerdotessa druidica un salto di sessant’anni di storia della musica, e per di più con doppio avvitamento carpiato di modo che, dalla Gallia, possa approdare in Tirolo.
Comincia poi a diffondersi la voce della Callas sulle note di «Son giunta!… grazie, o Dio» dalla Forza del destino. Lissner abbassa lo sguardo, si gratta ogni parte possibile… del cranio fino a nascondersi gli occhi come un bambino che abbia rubato la marmellata. Fa scena muta. All’imboccata della conduttrice, sbotta ironicamente in un «Sapete che non bisogna mai pronunciare il titolo di quest’opera? Porta male». Pardonnez-nous, donc, Monsieur le Directeur: pensavamo fosse ignoranza, invece era cautela.
Ecco il turno della Chanson Bohème dal secondo atto di Carmen; l’ex-Sovrintendente scaligero ripete l’ormai rituale scaramantico del giocare a cucù con se stesso, ammette la propria agitazione, ma azzecca. Su «Vissi d’arte» glissa da gran volpone, domandando retoricamente se l’interprete sia la Callas o meno, continuando a gigioneggiare allo stesso modo sul fil di fumo della Butterfly pucciniana. La vera perla? La conclusione. Con l’aria dello scafato intenditore che non riesce a capacitarsi di come una simile bestia rara possa essergli sfuggita fino a quel momento, chiosa: «Non conoscevo questa registrazione, è straordinaria».
Anche per noi, Signor Lissner, è straordinario – ma con chiara connotazione negativa – che un professionista che occupa le poltrone su cui s’è seduto Lei, a maggior ragione se remunerato nel modo che ben conosciamo, abbia dato prova di non sapere quasi nulla del grande repertorio operistico. Predilezione o no (e questa si era capita sin dai primissimi tempi, quando Lei andava annunciando enormi cambiamenti nelle stagioni scaligere di Sua competenza più o meno all’insegna del motto «Meno opera italiana e più Janáček per tutti», giusto o sbagliato che fosse), è sacrosanto dovere morale per un VIP della musica colta come Lei possedere non solo conoscenza, ma anche competenza in tutto quello che è classica. Strumentale o operistica, barocca o contemporanea. N’est-ce pas, Monsieur Lissner?
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