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Con la direzione di Antonello Manacorda e la regìa di Damiano Michieletto è andata in scena ieri sera al Teatro La Fenice l’opera di Mozart
di Elena Filini foto © Michele Crosera
GLI ESAMI NON FINISCONO MAI. E il concetto di buona scuola non l’ha certo inventato il governo Renzi ma la Rivoluzione francese, che per la prima volta ha strappato al controllo della Chiesa l’istruzione. All’appello del pubblico veneziano Damiano Michieletto e il suo staff presentano Die Zauberflöte, destinata ad essere ricordata come una delle sue migliori intuizioni. Una storia iniziatica che, se ha la leggerezza della favola, gode di una concezione d’impianto di raro acume che si ancora appunta alla Rivoluzione francese e alla riforma dell’istruzione in senso laico. Le avventure di Tamino e Pamina si svolgono all’interno di una scuola. Intonaci scrostati, stile “pubblico” sgarrupato, i due studenti di un college devono vedersela con la roccaforte religiosa del sapere (impersonata dalla Regina della Notte istitutrice e le tre dame badesse) e con la cultura laica che ha le fattezze di Sarastro, preside filosofo.
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Papageno è il bidello che tutti noi ricordiamo, un po’ storto, burbero, con l’immancabile camice bluette, ma puro e sincero. Monostatos un Giamburrasca in piena crisi ormonale. E i tre geni, tre minatori che conducono Tamino verso la vera conoscenza. Le scenografie di Paolo Fantin (qui come altrove vero punto di forza della regìa) sezionano il palcosecnico in due: in proscenio l’aula, al centro una lavagna che videoproietta scritte, segni e figure. Ma la lavagna si apre e mostra l’interno della stanza di Pamina con la Regina della notte, le bambole e tutti i simulacri dell’infanzia. L’interno sfonda in esterno: siamo nel cortile della scuola, un colpo d’occhio mozzafiato con decine di alberi veri in scena.
Sui banchi, questa è la traccia che sembra indicare Damiano Michieletto, si diventa insomma adulti, spesso grazie a scelte decisive. Alla regìa, che è il vero punto di forza di questa produzione, si allinea la direzione di Antonello Manacorda, nel complesso di buona tenuta. Tempi, di consueto, piuttosto spediti soprattutto nei fugati e nell’ouverture, ma anche buone aperture liriche dove necessario. Sugli scudi il Papageno di Alex Esposito, che anche qui ha dimostrato di essere un perfetto cantante attore (tacendo di qualche tendenza di troppo a personalizzare i tempi) che sa costruire un personaggio a tutto tondo, indiscutibile per appeal scenico e vocale.
Ottimo il Tamino di Antonio Poli e molto buona la Pamina di Ekterina Sadovnikova, ingenui ed “enfant” come richiesto dal ruolo. Applaudita alla fine delle due arie la Regina della notte della valida Olga Pudova, mentre il Sarastro di Goran Jurić ha un colore forse troppo chiaro per il ruolo (e nella prima aria, «O Isis», stacca dei tempi estremamente personali). Molto interesssante l’oratore di Michael Leibundgut e i due armigeri (Fderico Lepre e William Corrò). Pastose e perfette nel ruolo Rosa Bove e Silvia Regazzo, rispettivamente seconda e terza dama. Mentre Cristina Baggio (prima dama) è parsa un po’ costretta dalla tessitura acuta dei due concertati. Il Monostatos Giamburrasca di Marcello Nardis regala molte risate e conferma la sua disinvoltura: forse il cotè vocale necessiterebbe di pari cura. Graziosa come sempre Caterina di Tonno quale Papagena, straordinari i tre solisti del Muncher Knabenchor (tre fanciulli), rispondente e coerente con la regìa il coro della Fenice preparato da Ulisse Trabacchin. L’apprezzamento, a fine recita, è trasversale.
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