Ottavio Dantone dirige un capolavoro di intimismo e profondità. Intensa l’interpretazione dei solisti e del Coro Maghini che hanno accompagnato l’orchestra torinese nel concerto prenatalizio della stagione dell’Auditorium Toscanini
di Attilio Piovano foto © Studio PiùLuce
CHE PIACERE CONSTATARE LA PRESENZA della bachiana Messa in si minore BWV 232 entro il cartellone dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, e proprio a ridosso del Natale. Trasmessa in diretta televisiva su Rai 5 la sera di giovedì 17 dicembre 2015 (oltre che in streaming audio-video), è stata proposta inoltre in collegamento diretto radiofonico la sera di venerdì 18 nell’ambito di Radio 3 Suite. Sicché molti dei nostri fedeli lettori l’hanno di certo potuta “vedere” ed ascoltare. L’abbiamo a nostra volta ascoltata (live, de visu) la sera del venerdì, con vivo piacere e intensa emozione.
La Messa in si minore – si sa – è uno di quei capolavori assoluti della storia della musica di tutti i tempi che si riascoltano sempre con grande gioia e viva partecipazione, un vero e proprio percorso dell’anima e dello spirito. Al credente, poi, il luterano Bach offre non pochi spunti per ripercorrere i fondamenti della fede (così in non pochi passi del superbo Credo). Ma anche l’agnostico o addirittura l’ateo di certo vi ritrovano valori di bellezza e quell’Assoluto che solo i grandi capolavori dell’arte di tutti i tempi sanno sprigionare. Vera e propria summa del magistero bachiano, non meno delle sublimi Passioni, dell’Oratorio di Natale, dei Mottetti o del Magnificat e di una cospicua quantità di Cantate, per restare sul versante sacro, la Messa in si minore “punta” su una presenza massiva del coro che, di fatto, è quasi sempre in primo piano, per circa due ore di musica: e sfilano via lineari come se nulla fosse.
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Fondamentale dunque l’apporto del Coro Maghini che proprio in questo 2015 festeggia il ventennale di attività concertistica, una compagine di buon livello e apprezzabile affiatamento complessivo, istruito dall’ottimo e scrupoloso Claudio Chiavazza. Coro che si è fatto apprezzare per la valida performance, anche se in qualche passo lo avremmo voluto ancora più possente. Bene sia i passi dalla fitta polifonia, ad esempio il fugato della ripresa del Kyrie, oppure laddove Bach prescrive una scrittura addirittura ad otto voci e doppio coro dalla non facile tessitura; così pure bene anche i blocchi dall’andamento omoritmico o certi passaggi come il Gratias agimus dalla icastica solennità (appena qua e là qualche incertezza e certi sbalzi dinamici non ben calcolati, sì da ingenerare qualche striatura coloristica e qualche viraggio improvviso di timbro). Ma è poca cosa dinanzi ad una esecuzione rivelatasi di alto livello. Di eccellente resa ad esempio già la compattezza del Kyrie dal colore prossimo all’esordio della Passione secondo San Matteo, mentre il Christe è un toccante duetto delle voci chiare in stile di tipico passeggiato barocco, efficacissimo poi il Cum Sancto Spiritu a chiusura del Gloria e via elencando: gli esempi potrebbero essere numerosissimi e occorrerebbe citare quattro quinti della partitura, a dir poco.
A governare il tutto con mano felice lo specialista Ottavio Dantone sulle cui doti non è certo il caso di soffermarsi, come pure sulla profonda cultura e la innata musicalità. Buone le voci soliste di Berit Solset (soprano) e Delphine Galou (contralto), appena qualche asprezza qua e là, ma molta appropriatezza stilistica e tecnica a dir poco saldissima, ed eccellenti (sul versante maschile) quelle di Martin Vanberg (tenore) e Matthew Brook (basso) che hanno dato corpo e sostanza ai vari passi di questo monumentum della musica sacra di tutti i tempi.
Un capolavoro – anche questo è ben noto agli appassionati e non solamente ai bachiani Doc – che alterna momenti sfolgoranti ad altri di indicibile intimismo; si tratta nel primo caso di brani quali ad esempio il Gloria dalla giubilante allure, quasi haendeliana, verrebbe da dire, oppure basti pensare a passi quali il Resurrexit o ancora il luminescente e ialino Osanna in excelsis che il luterano Bach interpreta con un’aderenza al testo a dir poco straordinaria. Per contro, quanto accorato intimismo nell’arcaicizzante Crucifixus, singolare remake del genere del lamento, in forma di ciaccona, col basso che scende ed i fitti cromatismi, e così pure quanta profondità nel Sepultus est dove la tessitura musicale aderisce al testo con una simbiosi e una partecipazioni incredibili.
L’Orchestra Rai, opportunamente ridotta nei ranghi e con Luca Guglielmi al cembalo e Stefano Demicheli all’organo positivo, ha dato una interpretazione filologicamente molto corretta, lontana peraltro dallo sterile filologismo (spesso monocromo o, per contro, in altri casi fastidiosamente nevrotico) di certi barocchisti ad oltranza. Dantone ha infatti impresso tempi giusti e bei fraseggi, talora pimpanti, ma senza mai esagerare nei tempi veloci sì da ingenerare la sensazione di nevrosi, per l’appunto, ma nemmeno però con quegli indugi esagerati che taluni barocchisti amano porre vistosamente in rilievo. Tra i momenti in apparenza convenzionali vi è ad esempio l’Amen del Credo, che invece Dantone, l’OSNRai e il Coro Maghini hanno eseguito con un’intensità raramente inventariabili in altre interpretazioni: un particolare, per dire la cura estrema dedicata, in sede verosimilmente di concertazione, alla Messa bachiana eseguita a Torino.
Davvero in forma sono sembrate le prime parti Rai, dove occorre che i singoli strumenti dialoghino in maniera obbligata con le voci soliste (avviene in non pochi casi, e allora violino solo, ma anche corno da caccia, oboe e flauto), bene la sezione delle trombe dal suono incisivo e opportunamente scintillanti, ma sempre con estrema eleganza.
Un capolavoro nel quale la partecipazione del compositore-credente è palpabile in ogni singola nota, in ogni passaggio, ben al di là delle convenzioni barocche alle quali peraltro Bach si adegua, certo, in più d’un caso, ma in maniera però originalissima. Straordinario lascito dall’incredibile ricchezza formale, linguistica e strutturale, con pagine di altissima ispirazione a testimonianza della maestria di Bach nel maneggiare la materia sacra. Per chi si dice uomo di fede, poi, l’occasione speciale per meditare sul mistero dell’incarnazione (l’Et incarnatus è un altro dei punti stupendi della Messa), e dunque un modo davvero efficace per avvicinarsi al Natale grazie ad un capolavoro singolarissimo.
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