Continua la messinscena della Tetralogia al Teatro Massimo. La regìa di Graham Vick e la scenografia di Richard Hudson confermano la rilettura dell’opera in chiave moderna, denunciando difficoltà giovanili, montagne di immondizia e clochard
di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
DOPO IL PROLOGO E LA PRIMA GIORNATA de Der Ring des Nibelungen, si è dovuto attendere oltre due anni per poter continuare la tetralogia wagneriana al Teatro Massimo di Palermo. Ma n’è valsa la pena, perché l’idea registica di Graham Vick è ritornata ancora più fresca che nelle precedenti rappresentazioni. Scene e costumi di Richard Hudson confermano che l’azione dell’opera rimane radicata nei tempi moderni: un laptop è adoperato dal nano Mime per progettare la spada di Siegfried, un barbecue serve al protagonista per limare l’arma, la casa di Mime è arredata in stile anni ’90 e le montagne di sacchi neri di immondizia occupano liberamente la foresta in cui si svolge l’azione, e tra di loro dorme la dea Erda, degradata a senzatetto. Il percorso ricco di significati e gadgets – connesso profondamente al libretto wagneriano – è centrato sul deterioramento delle “vecchie glorie” e sull’incapacità totale del mondo giovane, la cui ingenuità sfocia inequivocabilmente nella sciocchezza e nell’impreparazione.
Al centro di questo scontro generazionale sta chiaramente il protagonista, Siegfried, interpretato da Christian Voigt, valido in scena ma meno soddisfacente dal punto di vista vocale: i continui passaggi dal canto a una sorta di Sprechgesang ricadono spiacevolmente sull’intonazione. Tuttavia il cantante riesce a creare il personaggio e a portarlo avanti con linearità e senso grottesco eccellenti. Siegfried è un giovanotto spensierato e incosciente, uno scout cresciutello e barcollante, in tuta Adidas e con le Converse ai piedi, che affronta il mondo insieme al suo orsetto di peluche a cui taglierà la testa nel segno di una maturazione guerriera. Il suo cammino culmina nell’incontro con la risvegliata Brünnhilde, interpretata da Meagan Miller. La voce e la presenza fisica della cantante creano una Brünnhilde credibile, con l’eccezione del movimento scenico che nel lunghissimo finale con Siegfried in mutande e T-shirt più che grottesco appare ridicolo e inopportuno.
Due forti presenze maschili sono rappresentate dal nano Mime e da Wotan travestito da Viandante. Peter Bronder, nei panni di Mime, delinea un personaggio squallido e scontroso e anche la sua voce, a tratti stridula ed eccessivamente vibrata, completa bene l’interpretazione. Bronder sorprende con la varietà di comportamenti: da cattivo e odioso nei confronti di Siegfried a sottomesso e terrorizzato per aver subito la violenza carnale da parte di Wotan, da determinato nel piano malefico contro Siegfried a quasi amabile all’incontro con fratello Alberich. Il vero protagonista della seconda giornata è invece il Viandante-Wotan, che, annunciato da una luce accecante, si presenta tra il pubblico e lascia il palcoscenico passando in platea. Thomas Gazheli dona allo spettacolo linearità e omogeneità di canto, mostrandosi effettivamente divino tra nani, giganti e uomini. Con passo sicuro e personalità forte e incorruttibile, egli possiede la Terra nella persona di Erda e mostra la sua superiorità violentando Mime, ma cede infine a Siegfried, lasciandogli spezzare la sua lancia e svegliare la figlia.
Tra i protagonisti rimanenti, Erda di Judit Kutasi è quella che convince maggiormente: una dea sapiente e dignitosa, nonostante il contorno di rifiuti, che inevitabilmente ricorda la decadente quotidianità palermitana. Anche Erda abbandonerà il palcoscenico passando tra gli spettatori per trovarsi da un’altra parte rispetto al mondo umano. Alberich di Sergei Leiferkus sembra aver perso un po’ di vitalità rispetto al prologo della tetralogia, mentre Michael Eder è un Fafner grottesco e divertente. Una nota va anche a Deborah Leonetti, la Voce di un uccello nel bosco (Stimme des Waldvogels), che, nonostante il ruolo secondario, è riuscita a imprimere la sua presenza vocale.
Dopo la ricerca iniziale della corretta intonazione, l’orchestra condotta da Stefan Anton Reck ha creato un buon sostegno musicale evolutosi nel corso dell’opera. Non sono state chiare tutte le azioni mimiche ideate da Ron Howell, forse per l’eccessiva presenza sul palcoscenico. Howell riprende il cerchio umano di fuoco, che pian piano spegnendosi si spoglia e scappa via, ma che, tuttavia, non ha nulla a che vedere con quello del finale della prima giornata, formato dai cloni di Loge, dio del fuoco. Non esaltano le scene di violenza, mentre risulta toccante l’immagine di Brünnhilde addormentata accanto al cavallo che si risveglia dolcemente insieme alla sua valchiria.