Con la Filarmonica il direttore intraprende una nuova lettura di Schoenberg, Strauss e Wagner. Misura, controllo e ratio non infiammano il Teatro
di Luca Chierici foto © Silvia Lelli
Il rapporto professionale ma soprattutto umano che Daniele Gatti dimostra di avere da sempre con i professori della Filarmonica della Scala e con il pubblico del Teatro è un elemento in più che gli assicura le simpatie di noi tutti, e se il suo ultimo concerto è stato accolto da applausi convinti ma non trionfali ciò è da addebitarsi parzialmente alla scelta di un programma che non concedeva spazio al consenso facile. Una scelta che è stata compiuta dal direttore tenendo presente innanzitutto della coerenza dell’impaginazione, con tre composizioni che si dipanavano attorno al motivo della trasfigurazione, intesa secondo significati differenti, e che almeno nei primi due casi (Verklärte Nacht di Schoenberg risale al 1899, Tod un Verklärung di Strauss al 1890) appartengono a una stagione musicale comune ricchissima di novità.[restrict paid=true]
Tre lavori che Gatti ama in modo particolare e che ha in repertorio da molti anni. Rinnoviamo qui il bel ricordo di un giovane direttore alle prese con la sua Orchestra Stradivari ventisei anni fa, di fronte al pubblico milanese con la stessa pagina schoenbergiana, un’occasione in cui egli si rivelò come uno dei più interessanti talenti del podio, un direttore per il quale non si poteva che immaginare una carriera di successo. E ancora più giovane, Gatti aveva diretto un anno prima con pari successo Tod un Verklärung con i complessi della Rai a Torino.
Ci sono stati però nel concerto scaligero alcuni elementi che potevano dare adito a osservazioni, e che in particolare non hanno fatto dimenticare interpretazioni molto più sanguigne e appassionate dei tre pezzi in programma. Innanzitutto viene spontaneo notare come Gatti lavori molto sulla densità del suono orchestrale – un suono che è sempre molto ricco pur nella evidenziazione di una diversità timbrica straordinaria, con la percezione chiarissima del timbro dei singoli strumenti – a volte a scapito di una maggiore attenzione verso la continuità della frase e soprattutto dell’impennata che permette di raggiungere quei momenti di climax espressivo ben presenti in tutti e tre i numeri del programma. In Verklärte Nacht, Tod un Verklärung e nel Vorspiel und Liebestod dal Tristano esistono almeno tre modi diversi per raggiungere questi momenti di accumulazione delle emozioni e nella narrazione di Gatti, soprattutto nel primo caso, è sembrato che il direttore fosse più attento alla perfetta calibrazione dei suoni piuttosto che all’agitarsi di passioni e sentimenti che in queste composizioni sono più che palpabili.
Aggiungiamo anche il fatto che la stessa propensione alla definizione dell’aspetto sonoro e alla scelta di tempi moderati andrebbe ripensata in vista dell’acustica della sala. Il Teatro alla Scala non è da questo punto di vista un luogo che aiuta un direttore o un solista a proiettare il suono e siamo sicuri che il concerto di ieri sera, se ascoltato in un auditorium moderno progettato secondo tecniche più efficaci, avrebbe raggiunto risultati e risposta di pubblico ancora più notevoli. In via del tutto generale, è ovvio che una scelta di tempi più mossa aiuta a evitare momenti di staticità e a movimentare il gioco delle tensioni e distensioni.
L’impressione che abbiamo avuto ieri sera in sala è stata confermata attraverso un rapido confronto che rivelava un notevolissimo distacco di Gatti dalla scelta comune dei tempi soprattutto in Verklärte Nacht : i 38 minuti di ieri sera, ossia una durata di più del 30% rispetto ai 31 minuti del Gatti di 26 anni fa e ai 29 scelti da direttori come Chailly e Mehta o da vari complessi cameristici per la versione in Sestetto, è giustificabile solamente grazie un totale ripensamento del capolavoro schoenbergiano. Meno notevole, ma comunque presente, era la deviazione nel caso wagneriano (20 minuti contro i 17 di Barenboim, Jansons, Blomstedt e dello stesso Gatti di non molti anni fa).
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