Tristan und Isolde con la regìa di Mariusz Trelinski è forse il clou dell’intero festival, la cui offerta è stata ricchissima. Vi raccontiamo tutto in questo lungo servizio
di Laura Bigi foto © Monika Ritthershaus
DA QUATTRO ANNI A QUESTA PARTE una media cittadina tedesca famosa per le sua terme sollazza i suoi abitanti e solletica la curiosità degli appassionati di musica e dei turisti per il fatto di ospitare una delle orchestre più famose internazionalmente – ma pur sempre tedesca – per un ormai piuttosto famoso festival pasquale. Per chi non conoscesse Baden-Baden, essa è un amèno centro della Germania sud occidentale, non lontano dal confine francese segnato dal fiume Reno, che si adagia sui fianchi di leggere colline; ivi è tutto molto verde, molto pulito, molto curato; molte gioiellerie e negozi di arte e antiquariato, molte scale ripide, farmacie antiche con scaffali in legno, shop di souvenirs con prodotti della foresta nera; torte della foresta nera e non; scarpe comode, non necessariamente belle; i Berliner Philharmoniker e il meteo variabile.
Ogni giorno all’Osterfestspiele c’è di che scegliere, i concerti si snodano lungo tutta la giornata a partire dalle 11 di mattina. Il festival si è aperto il giorno 19 marzo con i consueti concerti mattutini e pomeridiani, ma soprattutto con la prima rappresentazione della nuova produzione dell’opera fulcro tematico della manifestazione, Tristan und Isolde, regìa del polacco Mariusz Trelinski. Come ogni anno i grandi protagonisti non mancano: quest’anno Yo-Yo Ma (20 marzo – con Manfred Honek che sostituisce Yannik Nézet-Seguin – , Schumann, Concerto per violoncello), Mitsuko Uchida (21 e 27, Mozart Concerto per piano K482) e Janine Jansen (26, Bruch, Concerto per violino). La nostra esplorazione al festival comincia il giorno 23 marzo, ore 11 Stiftkirche.
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In programma Brahms, Sestetto n.2 op. 36 sol maggiore; Schoenberg, Verklärte Nacht per sestetto d’archi op.4. Chiaramente due brani accomunati dall’identico organico. Siccome i Berliner sono davvero burloni, ecco la simpatica trovata. Esistono in orchestra due coppie di fratelli che ben si combinano in quanto a organico cameristico: Cornelia e Julia Gartemann (violino e viola, rispettivamente) e Christoph e Martin von der Nahmer (vedi sopra, i due hanno anche dei soprannomi che non cito per timore di sbagliare grafia). Così la piccola introduzione al concerto proposta da Martin Menking (violoncello insieme a Knut Weber) assume un tono giocoso quando suggerisce al pubblico questa coincidenza “non casuale”.
Questo secondo sestetto brahmsiano, non meno interessante del più famoso primo (op. 18 in si bemolle maggiore), vide la luce esattamente a Baden-Baden, almeno nelle sue prime fasi (1860), raduna in sè più o meno tutte le caratteristiche dello stile di Brahms: forte impianto strutturale, tema dal carattere popolaresco, tema con variazione, inversione del tema legato al nome di Agathe von Siebold di cui l’autore si era innamorato e con cui interruppe la relazione dopo promesse di imeneo. Si veda come il centro tematico del concerto rimanga sull’amore, sul desiderio, sul legame uomo donna, sulla vita che esiste nella tensione erotica. Vita anche tragica in Schoenberg (da Richard Dehmel). Il vantaggio di suonare nella medesima orchestra che abbia un impianto di carattere così definito si aggiunge all’affiatamento familiare a raggiungere un risultato netto, sicuro, ben strutturato ma accuratamente sfumato e tensivo, soprattutto nel racconto musicale di Schoenberg.
Il giorno 24 due concerti un poco particolari, l’uno per la scelta del repertorio, l’altro pure in parte con aggiunta di tanghèri. Al pomeriggio si è ascoltato il Concerto Melante, ensemble formato perlopiù da Berliner (Raimar Orlovsky, Philipp Bohnen, Ulrich Knorzer, Dominik Wollenweber, Mor Biorn) con qualche aggiunta per gli strumenti (Martin Heinze, violone; Léon Berben, clavicembalo e organo; Ulrich Wolff, viola da gamba) non presenti nell’organico ordinario di un’orchestra sinfonica. Per il repertorio verso cui s’indirizza appassionatamente l’ensemble tutti suonano su strumenti “storici” (tra i quali il violoncello a cinque corde, oboe d’amore) e tutti utilizzano archi barocchi. Consueta introduzione per il pubblico e poi il programma: Dietrich Becker, Sonata a 4 “Musikalische Fruhlingsfruchte”; Nicolaus Adam Stungk, Sonata a 3; J.S. Bach, Canata BWV 49, e J.C. Bach (lo zio), Cantata Meine Freundin, Du bist schon.
Complessivamente: pochi giochi di dinamiche, poche sfumature coloristiche o di carattere, tutto molto omogeneo, compatto. Forse, a parte la quasi assenza del vibrato, tutto non eccessivamente barocco, ma molto tedesco. E ancora il filo conduttore dell’amore, spirituale questa volta. Divertente la serata al Festspielhaus, con Rattle a dirigere la Bundesjugendorchester nel Don Quixote di Strauss (Ludwig Quandt, violoncello e Teresa Schwamm, viola – eccellente e giovanissima, suona anche nell’Armida Quartet). Seconda parte dedicata al Tango con i celeberrimi 12 Cellisten. Panoramica ampia: José Carli, Astor Piazzolla e Horacio Salgan (gli arrangiamenti di Ludwig Quandt, David Riniker principalmente; Julio Medaglia e Jaques Ammon per Adios Nonino).
Giorno 25, giorno wagneriano. Scharoun Ensemble al mattino, nella lussuosa cornice della Weinbrennersaal del Casino: Siegfried Idyll, Wesendonck-Lieder e Liszt/Riemann, Sieben Lieder. A parte la celebre e sempre commuovente serenata mattutina dedicata alla moglie Cosima (Liszt in Wagner) in occasione della nascita del figlio Siegfried, qui proposta secondo l’organico originale per 13 strumenti, sorprendente la corrispondenza di tematiche fra Tristan e i Lieder di Liszt (pianoforte e voce di baritono), da Riemann trascritti per quatetto d’archi (Christoph Horak, Rachel Schmidt, Micha Afkam, Martin Lohr, con Stephan Genz, baritono). La somiglianza dei testi (Gustav Michell, Heinrich Heine, Michail Lermontov, Henriette von Schorn), cioè la corrispondenza di concetti, rende Tristano una presenza costante, forte. Molto bene anche Sophie Klussmann, soprano scuro, nei Wesendonck, necessaria introduzione al contesto e al mondo dell’opera wagneriana.
Quindi il clou, il culmine della nostra visita a Baden-Baden. Tristan und Isolde. Mariusz Trelinski ha già diversa esperienza con l’opera (Puccini, Čajkovskij, Verdi, Strauss, Bellini ed altri compositori), il portfolio è ricco e in Italia ha già diretto un Onegin a Bologna e dirigerà Iolanta al Maggio più in là in aprile. Trelinski si affida come sempre a Boris Kudlička per le scene, luci di Marc Heinz, costumi di Marek Adamski e proiezioni video di Bartek Macias. Nel complesso la concezione registica è apparsa piuttosto debole rispetto ad un testo musicale (e non musicale) tanto complesso quanto lo è quello del Tristano. Si può essere più o meno propensi alla trasposizione temporale della vicenda in contesti moderni o contemporanei, si può raccontare l’eterna vicenda dell’amore e della morte attraverso qualsiasi cornice storico-contestuale; ma la storia immobile e tragica di Tristano dice molto di più.
Trelinski interpreta il testo e l’opera reinventando le maschere e l’ambientazione, cerca di costruire una psicologia attraverso l’esplicitazione visuale di ricordi (ma non ci sembrano relati in qualche modo alla leggenda da cui Wagner mosse per la sua opera). Così ci ritroviamo su di una nave da guerra, Tristano ne è capitano, Marke è ufficiale superiore di Marina, Kurwenal è uno scagnozzo vestito in mimetica, Isotta è Isotta, Bangania è Brangania. Ad accompagnare i Preludi sempre suggestive proiezioni di bambini senza affetto che vedono la loro casa bruciare (?), flutti, tempeste, gabbiani in volo. Il dispendio di energie nella costruzione delle scene è pari alla quasi vacuità del senso di reinterpretazione. Se bastasse inventare nuovi scenari per essere innovativi, saremmo pieni di ottimi registi. Non c’è tensione nei gesti, non intimità, nessun calore mistico traspare dalla elaborazione drammaturgica mentre quasi tutto il lavoro è affidato alle voci e all’interpretazione musicale. Il tutto è freddo, spento, impacciato ma prevedibile, senza simpatia e nessuna trovata d’eccezione. Citiamo solo per completezza il duetto del II atto che si svolge alla luce dell’aurora boreale, e, nell’ultimo atto, Tristano ricoverato in ospedale, in coma, con tanto di flebo (di morfina probabilmente) e un po’ di sangue versato.
Ottimo il cast complessivamente: molto bene i protagonisti (Eva-Maria Westbroek e Stuart Skelton), due belle voci scure per soprano e tenore, perfettamente appropriate ai ruoli rispettivi; ottimo anche Kurwenal di Michael Nagy (già Papageno nella produzione 2013 diretta da Robert Carsen per l’inaugurazione del Festival), e così la Brangania di Sarah Connolly; imponente e dotato di buone doti recitative anche il re Marke di Stephen Milling; corretto il Melot di Roman Sadnik.
Supplisce abbondantemente alle mancanze della regìa il suono proveniente dalla buca d’orchestra. Rattle, alla sua terza interpretazione tristaniana, ha lavorato sui tempi – tendenzialmente piuttosto lenti e meditati –, sul colore e il calore del suono, il cui risultato è amplificato dalla caratteristica pienezza sicura e sopraffacente della sonorità dei Berliner. La massa sonora, il volume, non solo in termini di intensità acustica, ma pure in senso di peso, di vera e propria volumetria, è impressionante. Ciò nonostante tutte le voci strumentali, tutti gli intrecci tematici sono ben evidenziati e plasmati all’interno di un racconto intricato, mistico, a tratti traslucente oppure sordo e opaco.
Giorno 26, pomeriggio malinconico e romanticissimo – in senso letterario – con i Tristia di Franz Liszt (trascritti per trio con pianoforte da Eduard Lassen, ma supervisionati dall’autore), poi con Robert Schumann op.63. Suonano Matina Filjak (piano), Solène Kermarrec (violoncello), Alexandar Ivic (violino). Altra brillante protagonista Janine Jansen che conferma il suo talento energico interpretando il virtuosistico Concerto per violino di Bruch, sempre con i Berliner, sempre Sir Simon a dirigere. Non un capolavoro di struttura e narrazione ma spazio per l’esercizio delle abilità tecniche dei suoi interpreti, il Concerto scorre con vivace abbondanza tra le mani della giovane violinista, sempre molto applaudita. Seconda parte, una granitica quarta di Šostakovič.
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