di Attilio Piovano foto © Lorenzo di Nozzi – Stresa Festival
Bella davvero l’idea di proporre l’opera fiabesca di Stravinskij Le Rossignol. La si esegue poco (in confronto al pur sublime e assai frequentato Rake’s Progress, laddove Mavra e Perséphone, analogamente, non sono poi così presenti in sede esecutiva). Capolavoro di poesia, partitura eccellente, fresca e ispirata, Le Rossignol regala emozioni indicibili. Se poi ad eseguirla è un’orchestra di rango, con un direttore di razza e un pool di solisti eccellenti, il successo è assicurato. Ci ha pensato Gianandrea Noseda, inserendola nella programmazione dello Stresa Festival di cui è direttore artistico, puntando molto opportunamente sulla Filarmonica del Teatro Regio, la Fondazione Lirica della quale parimenti Noseda è al vertice, in veste di direttore musicale stabile. Sicché la sera dello scorso 4 settembre 2016 un folto pubblico ha potuto gustare al meglio questa deliziosa partitura formato mignon impregnata di esotismo, ma anche modalismo fauve, echi di certo mondo smaccatamente russo, ritmi pimpanti, passaggi onirici di incredibile dolcezza e magica seduzione: partitura fitta di eleganti dettagli timbrici, nonché dalle parti vocali tutt’altro che facili.
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Si articola in tre brevi atti, ma di fatto la si può considerare un blocco unico (della durata complessiva inferiore all’ora); nel ruolo dell’Usignolo ha primeggiato il soprano Christina Poulitsi, voce argentina e tecnica agguerrita, librandosi all’acuto nei vari passi di agilità, riscuotendo un vero trionfo personale. Bene poi anche Erika Grimaldi nei panni della Cuoca, dalle inflessioni popolaresche, e molto bene il contralto Manuela Custer nella pur breve, ma assai ardua (oltre che inquietante) parte della Morte.
Voce incisiva e molto icastica quella del tenore Francesco Marsiglia nelle vesti ‘narranti’ del Pescatore, immerso in una natura limpida e incontaminata, suggerita dalla musica stessa e dal suo canto pacato e lineare; completavano ottimamente il cast il basso Arutjun Kotchinian (L’Imperatore che grazie all’usignolo ritrova il piacere della vita, o più semplicemente ritorna in vita tout court), il Bonzo sbozzato con ironia e giusti accenti da Daniel Borowski e il Ciambellano ben reso, nella sua dovuta e pomposa fatuità, dal basso Gabriele Sagona. Limitato, ma assolutamente determinante l’apporto del coro; e ancora una volta lo Stresa Festival ha felicemente deciso di avvalersi di Ars Cantica Choir, complesso formato da esperti professionisti e guidato con sicurezza e professionalità ineccepibili da Marco Berrini.
Non solo, a garantire il successo dell’operina hanno reso un ottimo servigio del tutto funzionale le video proiezioni animate, frutto di un affiatato team (Guido Fiorato ambientazioni e personaggi, Francesco Campanini produzione digitale, Paolo Rossini animazioni, Leo Righi programmazione Watch Out, Dario Betti regia assistito da Silvia Magagni): e dunque si sono viste immagini improntate a soave naïveté, giustamente orientaleggianti, a guidare il pubblico nel dipanarsi della fiabesca vicenda. Successo davvero entusiasta e grande festa per tutti, solisti, direttore, coro e, ovviamente, Orchestra Filarmonica del Teatro Regio (TRT) che ha ben disimpegnato il tessuto orchestrale ibridato di mille preziosità.
In apertura di serata Noseda aveva diretto i Quattro Interludi da Intermezzo di Strauss, garbata commedia borghese: trascorrendo dalle atmosfere a metà tra l’incandescente e lo smagato del primo (Febbre da viaggio e Scena di walzer) all’intimismo intenso e delicato del secondo (Sognando al Camino dalle estenuate melodie in cui non è difficile percepire l’eco di certo Mahler), poi ecco gli acuminati profili del terzo quadro (Al tavolo da gioco) e da ultimo l’apoteosi, festosa ed altisonante, del quadro conclusivo (Lieto fine), ovvero il prevedibile scioglimento della vicenda e il dovuto chiarimento tra i coniugi protagonisti di Intermezzo.
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