Organizzare un festival partendo dal nulla: cercare i fondi, i luoghi, i musicisti (ospite d’onore Frederic Rzewski) l’aiuto del crowdfunding e quello delle istituzioni. Come fare? A Piacenza una nuova giovane esperienza ha da poco concluso la prima edizione. L’organizzatrice ci racconta prima persona come è riuscita e tutte le altre vicissitudini
di Claudia Ferrari
A Piacenza, quella che potremmo descrivere come una città di Provincia per le sue dimensioni contenute e per la tranquillità, tra maggio e giugno è stato realizzato un vero e proprio festival di musica contemporanea, intitolato incó_ntemporanea. Dare forma a un’idea di questo tipo, in un periodo (che purtroppo dura da molto) in cui non si fa altro che parlare dei tagli alla cultura e in cui sempre più spesso si vedono casi di interessanti realtà culturali chiudere i battenti, è quanto meno un’idea ambiziosa, per non dire folle. Personalmente, da tempo ragionavo sull’opportunità di realizzare un festival di musica contemporanea nella mia città, non esisteva un’offerta di questo tipo; a volte è possibile assistere a concerti interessanti per quanto riguarda la musica d’oggi, ma le occasioni sono rare e comunque lontane dall’idea organica di un festival.
Inoltre, sono fermamente convinta che il pubblico sia pronto per l’ascolto di questa musica che ancora ci ostiniamo a chiamare “musica nuova”, ma che nuova non è per niente, se si parla di Novecento: durante il festival è infatti stata proposta sia musica dei nostri giorni, con anche prime assolute, sia del secolo scorso. Ho conosciuto il collettivo_21, artefice del festival, lo scorso agosto, quando l’ho scelto come ensemble per realizzare un altro progetto in cui la musica d’oggi doveva essere protagonista. La particolarità del collettivo è il fatto di essere un ensemble “modulabile”: esiste un gruppo stabile, che si occupa delle questioni organizzative e della direzione generale da dare al progetto, e una serie di musicisti che gravitano attorno: a seconda delle occasioni, l’ensemble propone programmi e spettacoli diversi. Questa estrema adattabilità mi ha da subito affascinata perché trovo sia in linea con l’idea di resilienza necessaria nel nostro tempo per adattarsi alle condizioni mutevoli. Dopo quella prima esperienza con loro, mi sono unita al gruppo. Per il collettivo mi occupo di comunicazione e organizzazione; insieme ragioniamo sui passi da compiere, in una visione di futuro condivisa. A novembre scorso abbiamo partecipato a un bando comunale proponendo il progetto “incó_ntemporanea”, un gioco di parole tra incó, che in dialetto piacentino significa oggi, e “in contemporanea”..
Abbiamo vinto parte della somma necessaria e successivamente abbiamo lavorato per trovare altri fondi attraverso altri sponsor e una campagna di crowdfunding. Non starò a dilungarmi sulle difficoltà, quella che qui voglio fare è una riflessione aperta – che spero trovi margini di confronto – sulle necessità e le motivazioni relative alla realizzazione di un festival. La forza di questo progetto stava nel bisogno stesso: come direttrice artistica ero fermamente convinta che la città avesse bisogno di una proposta qualitativamente alta, diversa dal solito. Si trattava solo di farglielo capire e di uscire dalle logiche tradizionali di comunicazione che vengono normalmente usate in quest’ambito. Lo scambio di idee con l’ensemble è stato fondamentale per le scelte programmatiche: abbiamo realizzato un’offerta più che mai eterogenea, ma sempre di alto profilo. Abbiamo puntato sulle location, scegliendo diverse sale della città per occasioni differenti: l’inaugurazione, ad esempio, è stata una vera e propria festa nel giardino di Palazzo Ghizzoni Nasalli, splendida residenza storica in centro città, con tanto di aperitivo post concerto. Sicuramente una scelta lontana dalle consuetudini, dettata però dalla volontà di avvicinare un pubblico nuovo, anche giovane, a un genere musicale normalmente non frequentato.
Protagonisti del concerto il collettivo_21 (per l’occasione quintetto di fiati) e l’ensemble di percussioni Tempus Fugit, con un programma che andava dal cuore del Novecento (Sei bagatelle di Ligeti) alla musica d’oggi, con una prima assoluta di Luca Brignole, vincitore del call for scores indetto per l’occasione mesi prima dall’ensemble. L’idea ha pagato e quel pubblico ha riempito anche le sale dei concerti successivi: un weekend dedicato al pianoforte (9 e 10 giugno) nella Sala Consiliare della Provincia, intitolata a Giuseppe Verdi e per la prima volta adibita a sala da concerto: qui, due serate, la prima frutto di un percorso collaborazione con la Primavera di Baggio al Magazzino Musica di Milano, intitolato Incontri contemporanei e incentrato sul rapporto tra segno e suono in cinque pezzi di altrettanti compositori dei nostri giorni; e la seconda con Umberto Petrin al pianoforte e Marco Domenichetti al piffero, per un progetto sul rapporto tra jazz e musica popolare presentato in prima assoluta.
L’ultima serata (17 giugno) ha visto il salone del Conservatorio Nicolini riempiersi per l’appuntamento finale con il concerto monografico sulla musica di Frederic Rzewski, ospite in sala. Non solo concerti, ma anche momenti di confronto e didattica nel programma del festival: un laboratorio di musicoterapia per gli allievi delle classi prime e seconde di una scuola elementare di un particolare quartiere della città; una conferenza sul repertorio contemporaneo per fisarmonica nell’incontro con Claudio Jacomucci, protagonista dell’anteprima del Val Tidone Festival con cui per l’occasione abbiamo collaborato, e una masterclass aperta a tutti e gratuita di Frederic Rzewski sulla sua musica, in anticipazione del concerto finale.
Alla domanda “valeva la pena di mettersi in quest’impresa?” risponderei certamente sì, perché non penso che le difficoltà, a tratti enormi, della burocrazia, della ricerca di fondi, delle lungaggini organizzative, possano averla vinta sulla necessità di realizzare una proposta di buon valore culturale, nella fattispecie musicale. Le piccole città come Piacenza nascondono in sé grandi potenzialità, che possono mettere in luce una buona proposta musicale e viceversa: scegliere i giusti luoghi, non aver timore di spiegare alle persone quello che andranno ad ascoltare, impegnarsi a eliminare le distanze tra musicisti e pubblico, tra addetti ai lavori e ascoltatori, è quello che rende possibile che la musica contemporanea diventi una musica di tutti, una musica sì nuova, ma non distante; una musica da vivere, come in Les moutons de Panurge, pezzo d’assieme finale del collettivo_21, in cui l’energia dell’ensemble ha contagiato il pubblico che con un battito di mani irregolare ma appassionato ha concluso il concerto insieme ai musicisti, dimostrando di essere pronto a tutta la musica che verrà.