di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
Dopo l’inaugurazione della Stagione 2018 del gennaio scorso, con Guillaume Tell eseguito in occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Rossini, il Teatro Massimo mette in scena un’opera di un suo meno conosciuto contemporaneo, il francese Daniel François Esprit Auber. La musica di Auber era oggetto di discussione già all’epoca, tanto che lo stesso Rossini la definì «piccola», ma scritta «da grande musicista», mentre Schumann le rimproverava vuotezza e volgarità. È pur vero, che tutti i compositori del momento rimanevano nell’ombra del grande maestro pesarese, per cui le opere comique di Auber, malgrado il grande successo riscosso nella stessa Parigi, non ebbero mai stesso plauso nel resto d’Europa.
Scritta nel 1830, l’opera Fra Diavolo (in originale Fra Diavolo ou l’hôtellerie de Terracine) è uno dei titoli più riusciti del compositore parigino, nonostante la storia poco universale e per questo non molto coinvolgente, raccontata nel libretto del grande Eugène Scribe. La composizione presenta diversi momenti felici, a iniziare dall’ouverture frizzante e ironica, per giungere ai pezzi vocali d’insieme, tra cui i quintetti di notevole effetto scenico e musicale. Tuttavia, l’opera presenta una particolare discontinuità e una insolita mescolanza di stili: la scrittura strumentale baroccheggiante si intreccia con la scrittura vocale di stampo mozartiano, riecheggiando una lontana voce di Cherubini, maestro di composizione di Auber. Il miscuglio, che rivela poca coerenza nella scrittura, anziché aumentare la comicità dello spettacolo rischia di farlo cadere nella banalità estrema. La frequente ripetizione di temi e motivi musicali fa sì che Fra Diavolo si avvicini al più semplice genere dell’operetta.
Giorgio Barberio Corsetti ce la mette tutta per rendere lo spettacolo scintillante e movimentato, e ci riesce per quel che riguarda l’aspetto visivo e scenico dell’opera. Tuttavia la musica non collabora con l’intelligente rappresentazione delle scene e con le innovative tecniche digitali impiegate con grande professionalità. C’è una perfetta intesa tra i video di Igor Renzetti, Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene, le scene di Corsetti e di Massimo Troncanetti e i costumi di Francesco Esposito, volta a creare un fumetto vivente di Dick Tracy, con Fra Diavolo come l’alter ego di Big Boy. Il tutto è abbellito dalle luci sapienti di Marco Giusti e dalle coreografie contemporanee di Roberto Zappalà, che trasformano l’albergo di Terracina in un night club stile anni ’30 come quello di Smooth Criminal di Michael Jackson.
La musica non aiuta nemmeno i cantanti, tra cui spiccano Marco Filippo Romano in Lord Cockburn e Sonia Ganassi in Lady Pamela, una coppia eccellente sia dal punto di vista vocale che scenico in grado di affrontare con successo le più ardue agilità della partitura. Accanto a loro Desirée Rancatore, abile soprano leggero, è una Zerline divertente e amabile, e Giorgio Misseri nei panni del poliziotto Lorenzo, impersonato con grande trasporto. Anche il padre di Zerline, Mathéo, interpretato con fermezza da Francesco Vultaggio, è un personaggio ben riuscito nonostante la giovane età del cantante. Un po’ meno disinvolti in scena, Giacomo di Paolo Orecchia e Beppo di Giorgio Trucco, contribuiscono comunque a conferire all’azione un’aria di leggerezza e ironia. Il protagonista, Fra Diavolo, interpretato da Antonino Siragusa, non riesce a catturare l’attenzione, malgrado una concentrazione di scene di notevole interesse da parte della regìa di Corsetti. Il cantante, dotato di un timbro tenorile particolarmente prezioso e originale, usa la voce con molta naturalezza, che in certi momenti dell’opera, tuttavia, si traduce in poca puntualità. Anche in questo caso la ripetitività della musica non aiuta a rendere il personaggio coinvolgente, lasciandolo incatenato sempre agli stessi temi e motivi e pezzi strofici di eccessiva semplicità. Risultano eccellenti i pezzi d’insieme, nei quali le voci si intrecciano tra loro con maestria: nei momenti più piacevoli musicalmente dell’opera di Auber.
Una nota positiva va al Coro del Teatro Massimo preparato da Piero Monti e al Corpo di ballo che con naturalezza esegue le moderne coreografie. La direzione di Jonathan Stockhammer presenta raffinatezza ed eleganza, che vengono costantemente trasmesse all’Orchestra. Tuttavia la musica, non riuscendo ad agevolare l’azione, rimane ferma – in contrasto con la regìa e con l’Officine K, la factory operativa impiegata nelle scene di Fra Diavolo da Corsetti – lasciando invano tutto lo sforzo del sapiente apparato scenico.