di Fabio Zannoni foto Uff. Stampa Festival
L’immagine è quella di un volto dipinto di verde, truccato con ghirigori gialli e la bocca dipinta di uno smagliante rosso vivo, di un Mauricio Kagel a torso nudo con uno strumentino etnico: così il festival Printemps des Arts di Montecarlo si presenta nell’edizione 2019 per omaggiare il compositore argentino. Era la copertina di un disco Deutsche Grammophone, di un Kagel del ’72, intitolato Exotica. È evidente l’intenzione, da parte del direttore artistico Marc Monnet, ancora una volta, di stupire, di creare interrogativi e curiosità, nell’ambiente conservatore del pubblico monegasco, con il faccione verde di Kagel, onnipresente, in ogni angolo del Principato. Creare curiosità anche con una programmazione trasversale (dal 15 marzo al 14 aprile) che alterna approcci di repertori classici rigorosamente monografici, con escursioni nei territori delle avanguardie del Novecento e contemporanee, così come, di volta in volta, in quelli di diverse tradizioni etniche.
Ed è nella sontuosissima sala dell’opera Garnier, adiacente ai locali del celebre Casinò, che l’esecuzione dei due quartetti beethoveniani – n. 12 op. 127 e n. 16 op. 135, nel concerto cui assistiamo – nel terzo week end della rassegna – da parte del quartetto ‘Renaud Capuçon’, viene preceduta da una rutilante performance al bandoneon di Jean-Etienne Sotty a interpretare Pandorasbox di Kagel: è sicuramente abbastanza emblematico questo accostamento che pare in in qualche modo preparare il pubblico alle prospettive frammentarie e visionarie, quasi a mimarne i tratti, dei quartetti di Beethoven che seguiranno, con una una sommatoria di gesti musicali carichi di pathos, fatti di scatti repentini, soffiate di mantice, urla, risa, tremoli e concitate scariche sonore.
Armati di strumenti quali un Guarnieri del Gesù “Panette” (appartenuto a Isaac Stern), un Guadagnini e un David Tecchler del 1771, i componenti del quartetto Renaud Capuçon esibiscono quindi una sonorità di straordinaria rotondità e morbidezza che viene caratterizzando, insieme allo stile interpretativo ed al gesto strumentale del violinista francese che guida l’ensemble, un’interpretazione di particolare omogeneità e di incredibile senso unitario. Il gusto profondamente ‘classico’ di Capuçon conforma la conduzione dell’ensemble quasi a stemperare quella nebulizzazione e quella frammentarietà che caratterizzano il linguaggio beethoveniano degli ultimi quartetti, evitando gesti ‘aggressivi’ e facendo emergere un lirismo teso e sognante, con un fraseggio fatto di un respiro espressivo, tutto francese, estremamente delicato. Una cifra interpretativa questa che consente cogliere con grande chiarezza e nitore, specie nell’op. 127, le complesse dinamiche compositive che si fondano sul contrappunto e sulla variazione, superando la dialettica delle contrapposizioni tematiche, mentre nell’op. 135, viene emergendo, sempre nello spirito di questa apollinea visione, una colore strumentale nel quale si vengono addensando tinte drammatiche, finanche nel Lento assai cantabile, un’enfasi romantica nell’estrema dilatazione di un fraseggio elegantissimo.
E il violinista Renaud Capuçon, protagonista indiscusso di questo fine settimana monegasco, lo ritroviamo la serata successiva nell’auditorium del Grimaldi Forum come solista in un programma concertistico tutto bartokiano, ad eseguire i due concerti per violino del compositore ungherese, con la Bbc Symphony Orchestra, diretta da Peter Eötvös che ha completato questa affascinante full immersion nel mondo musicale di questo compositore con una mirabile esecuzione del Concerto per orchestra Sz116. Capuçon anche in questa performance conferma oltre che il suo incredibile controllo della tecnica ed un gusto timbrico di particolare delicatezza una sua attitudine ‘dialogante’: più che contrapporsi alla compagine orchestrale egli si inserisce nell’amalgama dei timbri per staccarsi gradualmente, vuoi con un delicato lirismo, vuoi con un senso di calibrata incisività. Se nel Secondo concerto lo vediamo accentuare un carattere più marcatamente deciso è sempre un suo gusto delicatamente ‘apollineo’ che conferisce alla sua lettura di questi concerti un carattere specifico, che li rende eminentemente ‘classici’. Che dire dell’orchestra e della direzione di Eötvös? Assolutamente mirabili! La Bbc nel Concerto per orchestra dà mostra delle preziose singolarità dei suoi componenti, l’interpretazione del direttore ungherese si costruisce per un nitido e graduale coagularsi dei diversi momenti della composizione, come costellazioni, fino alle esplosioni perfettamente calibrate delle fanfare, intonatissimi anche gli strumentini, quindi con coinvolgenti momenti di incalzanti ritmi danzistici e di robusti corali di ottoni: un cesello di timbri, in un quadro affascinante di episodi perfettamente delineati e di grande bellezza.
Tra l’entusiasmo generale di numerose chiamate per solista e direttore la serata chiude con un rutilante bis della brahmsiana Danza ungherese n. 5.