di Attilio Piovano
Dopo la full immersion vivaldiana di metà novembre, per la gioia dei barocchisti, fa piacere riferire dell’integrale dei bachiani Sei Concerti Brandeburghesi realizzatasi a Torino, ancora per il cartellone di Lingotto musica, presso l’Auditorium ‘Agnelli’ la sera di giovedì 9 dicembre 2021: a cura dell’Orchestra Barocca Zefiro, Alfredo Bernardini direttore e oboe solista.
Un privilegio ed un’occasione preziosa poter ascoltare di seguito l’intera serie dei mirifici Sei Concerti, vera summa settecentesca di maniere tedesche, italiane e francesi, capolavoro sublime che tuttora lascia attoniti e ammirati per la ricchezza dei contenuti, la varietà degli aspetti formali e molto altro.
In assoluto, ancora una volta a stupire e ad entusiasmare il pubblico è stato principalmente il Quinto, eseguito in maniera impeccabile: un plauso speciale al cembalista Francesco Corti, per la fantasiosa creatività nel realizzare gli abbellimenti, per la souplesse (e nel contempo – non paia contraddittorio – per il rigore interpretativo), oltre che per la tecnica pressoché perfetta. Idem dicasi di Marcello Gatti – al flauto traversiere, ammirato per gusto, eleganza ed appropriatezza stilistica – e di Rossella Croce (violino). Ottimo l’affiatamento ed equilibrato lo stacco dei tempi.
Grandi emozioni ha regalato poi anche l’ascolto del Quarto. Ammiratissima l’ipercinetica ed esuberante Mayumi Hirasaki, violino solista, che ha sfoggiato un impressionante virtuosismo, eccedendo forse un poco nello stacco fin troppo rapinoso del finale (ma con una innegabile ‘tenuta’, senza una sola sbavatura), ne risultava un sound un filino… nevrotico, ancorché fascinoso. La Hirasaki già si era fatta ammirare nell’esecuzione del fastoso e incoativo Primo, alle prese con il violino piccolo (peccato per un suono eccessivamente aspro, dovuto certo alle caratteristiche morfologiche dello strumento), così pure ancora nel Quarto ammirati i flauti dolci (Lorenzo Cavasanti ed Emiliano Rodolfi) dall’intonazione inappuntabile e dalla buona emissione. Nel Primo molto bene i restanti legni (gli oboi di Bernardini stesso, di Paolo Grazzi ed ancora Emiliano Rodolfi il fagotto di Alberto Grazzi, è superfluo rimarcare infatti come Zefiro si avvalga di strumenti antichi e ne curi in maniera scrupolosa l’approccio). Non altrettanto si può affermare dei corni; sono strumenti insidiosi, si sa, basta una variazione di umidità a sala piena e allora possono manifestarsi défaillances che pur tuttavia (quasi) nulla tolgono al fascino di sonorità desuete e arcaiche, irrinunciabili in caso di esecuzioni filologiche.
Anche la tromba in fa è parsa talora alle corde, alle prese con le impervie e famigerate difficoltà del Secondo: eseguito opportunamente in chiusura, stante la sua palese e spettacolare allure. Ammirato Bernardini nel ruolo di Konzertmeister al cospetto del Terzo, dalla singolare e pressoché unica disposizione strumentale, vale a dire tre gruppi di archi, violini, viole e violoncelli (un plauso speciale a tale ultima sezione che ha ottimamente disimpegnato le rispettive parti nei singoli Concerti); Bernardini – nei tempi ‘morti’, dovendosi spostare leggii e strumento da tasto – ha intercalato l’esecuzione dei capolavori con riflessioni e annotazioni varie, segnalando peculiarità di scrittura e quant’altro, ma finendo per dilatare però a dismisura i tempi: in assenza di intervallo, per le note ragioni legate all’emergenza Covid, al pubblico è parso gravoso restare incollato sulle poltrone per un tempo quasi doppio rispetto alla canonica durata dei Brandeburghesi. Ma tant’è.
Da segnalare infine come la sorprendente scelta bachiana di porre ‘in panchina’ gli archi acuti nel Sesto, avvalendosi di sole viole, viole da gamba, violoncello e violone, mostri a chiare lettere la volontà enciclopedica e compendiaria del sommo Kantor: abile nel variare organici e disposizioni sonore, realizzando con i Brandeburghesi – al pari delle Goldberg, del Clavicembalo ben temperato, delle violoncellistiche Suites o ancora delle violinistiche Sonate e Partite – una riassuntiva sintesi del mondo del concerto barocco che ha tuttora del prodigioso. Chapeau. Buona in complesso la prova fornita dagli archi, ben amalgamati, nonostante qualche piccolo squilibrio qua e là.
Prossimo appuntamento al Lingotto l’8 febbraio 2022 con la blasonata Gewandhausorchester lipsiense per la direzione del fuoriclasse Andris Nelson e con la presenza di lusso di Sol Gabetta, tra le migliori violoncelliste della sua generazione. In programma pagine di Čajkovskij e il sublime Concerto op. 104 di Dvořák. Da segnare in agenda e da non perdere per nessuna ragione. E si tratta del primo di tre concerti offerti in formula mini abbonamenti (i restanti saranno il 21 marzo con i Cellisti dei Berliner ed il 27 aprile con l’Orchestre de Paris diretta da Esa-Pekka Salonen).