di Monika Prusak
Nel repertorio operistico più amato dalle platee di tutto il mondo ci sono spettacoli che richiedono la lettura in una chiave tradizionale, che ritrae i luoghi, i personaggi e i costumi ancorati in una data epoca. Ne fa parte La bohème pucciniana, che vogliamo vedere sempre allo stesso modo e mai ne usciamo delusi o annoiati, se non per qualche pecca legata ai singoli aspetti della rappresentazione.
Il Teatro Massimo di Palermo ne propone un nuovo allestimento in occasione della tournée in Giappone prevista per il 2022 con la regia di Mario Pontiggia, le scene di Antonella Conte, i costumi di Francesco Zito e le luci di Bruno Ciulli, sotto la bacchetta di Fabrizio Maria Carminati.
Quello che colpisce immediatamente nella lettura di Pontiggia è la precisione con cui il regista argentino adopera il libretto del duo Giacosa-Illica e il suo grande rispetto per il testo originale di Henri Murger, Scènes de la vie de bohème del 1851. I quattro protagonisti, giovanissimi, eleganti e spensierati, portano avanti una interpretazione leggera e fresca, esattamente come ritratti nel romanzo ottocentesco, che spesso viene travisato da cast eccessivamente pesanti e da voci non adatte. Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline sono belli, affascinanti, vestiti alla moda e grazie alla messa in scena mirata a una azione rapida e accattivante, trascinano il pubblico con le loro giovanili movenze. Allo stesso modo le vocalità dipingono ciascuno di loro in maniera efficace e personale, come nel caso di Rodolfo, interpretato egregiamente da Stefan Pop. Il tenore coglie perfettamente l’essenza del personaggio bohémien pucciniano: è tenero e pieno di desiderio allo stesso tempo, un sorta di conquistatore romantico, tuttavia non privo di difetti. Marcello di Vittorio Prato è raffinato ed elegante, dotato di una vocalità ricercata e perfettamente adatta al personaggio. Naturale e spontaneo in scena il cantante riesce a conquistare con il suo charme e la voce calda e suadente di baritono non solo il Cafè Momus, ma anche il pubblico in sala. Non meno attraente è Schaunard di Tommaso Barea, il basso-baritono di una vocalità meno appariscente, ma altrettanto adatta e avvincente. Il quartetto di amici si completa con Colline di George Andguladze. Il basso georgiano di una vocalità grave e possente svela inizialmente una pronuncia poco sicura, ma poi compie una eccelsa interpretazione di Vecchia zimarra del quadro IV.
Accanto ai quattro giovani bohémien ci sono due ragazze, Mimì e Musetta, più delicata e ingenua la prima, più esperta e “mondana” la seconda. Non è necessario presentare Angela Gheorghiu, la diva rumena conosciuta in tutto il mondo, che qui riveste i panni di Mimì. Di età decisamente diversa rispetto al suo partner in scena, la Gheorghiu riesce, tuttavia, ad apparire giovane e delicata, proponendo al pubblico palermitano una interpretazione mirabile di uno dei personaggi femminili pucciniani più amati in assoluto. Quel che incanta sono i piano delicati ed eterei con degli straordinari decrescendo, e la capacità di usarli anche nel registro acuto. Qualche imprecisione di intonazione passa quasi inosservata grazie a una recitazione disinvolta e coinvolgente, soprattutto per quel che riguarda le scene in coppia con Stefan Pop. Un tipo opposto è Musetta interpretata da una frizzante Jessica Nuccio. La cantante si impadronisce dell’intero quadro al Café Momus, intrigante e capricciosa, diventa l’oggetto di avances di tutti gli uomini presenti. La Nuccio riesce a mantenere la giusta tensione fino alla fine della scena. La femminilità prorompente e la presenza scenica e vocale ne fanno la protagonista assoluta del secondo quadro.
Sono ben assortiti anche i personaggi secondari, tra cui Luciano Roberti in Benoît, Pietro Luppina in Parpignol, Antonio Corbisiero come Sergente dei doganieri, Antonio Barbagallo Un doganiere e Francesco Polizzi Un venditore di prugne. La direzione di Fabrizio Maria Carminati propone una lettura pucciniana attenta e piena di sfumature, che riceve una risposta altrettanto appassionante da parte dell’Orchestra del Massimo. Completano l’opera il Coro del Teatro Massimo di Ciro Visco, in ottima forma vocale e scenica, e il magnifico Coro di voci bianche di Salvatore Punturo. Per quanto riguarda le scene e i costumi, Antonella Conte e Francesco Zito optano per una lettura tradizionale di notevole bellezza che culmina nei coloratissimi interni del Café Momus.