di Luca Chierici
Raramente capita che l’insieme di elementi che vanno a formare una nuova produzione teatrale riescano a trasformare una recita in qualche cosa che ti colpisce al cuore e ti fa ripensare in maniera viscerale a un lavoro bellissimo che si ascolta raramente.
Avevamo certo nella memoria la serata di trentadue anni fa durante la quale la “nostra” Freni, in pieno possesso di una lingua per noi ostica, aveva tratteggiato la difficile figura di Liza nella Dama di picche. E di buon livello era stato il successivo allestimento ai tempi della trasferta agli Arcimboldi, nel 2005, quando Temirkanov diresse un cast che vedeva nella presenza della Obraztsova un punto di riferimento carismatico.
Gergiev, fischiato al suo ingresso per le ben note ragioni politiche di vicinanza nei confronti dell’establishment russo, ha dimostrato di ricoprire in questo tipo di repertorio un ruolo di dominatore incontrastato
Tranne che per l’elemento registico e scenico, sul quale si possono avanzare molte riserve, anche sottolineate dal pubblico, questa Dama ha convinto quasi tutti gli astanti per la lettura infallibile di Gergiev e per la identità assoluta tra le figure vocali principali e i relativi ruoli. Lettura infallibile e identità che andavano ben al di là del fatto tecnico-interpretativo, ma che rivelavano una profonda immedesimazione di tutti i protagonisti nei confronti di una dramma musicale capace di scuotere il pubblico, anche quello più refrattario al coinvolgimento. Sarà stata la attuale inquietante realtà politica che rischia di sconvolgere gli equilibri europei e mondiali, sarà stato il tardo arrivo in Italia di Gergiev e il forzato lavoro preventivo di orchestra, voci e coro sotto la guida del giovane sostituto che ha preparato la compagnia prima dell’arrivo del Maestro, Timur Zangev. Ma la serata si preannunciava con un che di inquietante che aumentava il thrilling di un soggetto originale così diverso dalla drammaturgia nostrana che muove tanto repertorio melodrammatico. Novità interessante dell’impianto registico è stata la presenza del Conte di Saint-Germain, personaggio storico realmente esistito e citato nel libretto, nel momento in cui Tomskij racconta la storia della Contessa, allora giovane a Parigi e presa di mira dallo stesso Conte. Che per salvarla da un ingente perdita al gioco le propone il segreto delle tre carte vincenti, chiedendo in cambio “il prezzo di un solo rendez-vous”. Le stesse carte che la vecchia dama non vuole giocare ancora perché un fantasma le aveva predetto la morte a causa di un ennesimo uomo interessato al segreto.
Il Conte non compare esplicitamente nel cast, ma la sua presenza in scena in molti momenti chiave della vicenda aveva una sua ragion d’essere indiscutibile. Purtroppo questo particolare non è stato sufficiente a salvare del tutto una regìa piuttosto discutibile, che troppo dipendeva dall’allestimento scenico di Volker Hintermeier e purtroppo dalle luci accecanti, davvero fastidiose di Mathias Märker. Luci che fin dall’inizio emanavano da una serie di tubi al neon a loro volta distribuiti orizzontalmente su un lato di alte strutture portanti in forma di prisma a base triangolare. Piuttosto confusa e sovrabbondante era poi la famosa scena della sala da ballo nella prima parte dell’atto secondo – che con i suoi mille colori contrastava con l’impostazione in bianco e nero dell’atto precedente – mentre indovinata e bene espressa era di contro la grande scena della svestizione della Dama e del suo ricordo commosso di una passato a contatto con le massime cariche della corte di Versailles. Altri momenti memorabili erano la presenza minacciosa della Contessa che si erge dalla bara per rivelare a Hermann il segreto delle carte e momenti di discreta poesia accompagnavano la scena del suicidio di Liza. A proposito della prima parte dell’atto secondo è sembrato che Gergiev non abbia volutamente sottolineato le vere (Ein Mädchen oder Weibchen) o presunte ascendenze mozartiane dell’impianto musicale: l’amore di Čajkovskij nei confronti di Wolfgang Amadeus è sì una realtà storica, ma è l’amore per una visione tutta ottocentesca e fondamentalmente travisata del compositore, ben lontana da ciò che verrà ripensato in termini biografici e soprattutto musicali a partire dal secolo successivo.
Gergiev, fischiato al suo ingresso per le ben note ragioni politiche di vicinanza nei confronti dell’establishment russo, ha dimostrato di ricoprire in questo tipo di repertorio un ruolo di dominatore incontrastato. Raramente si ascoltano in teatro degli incipit orchestrali così perentori, con una perfetta concezione della “tinta” strumentale. E in tutto il seguito il direttore ha quasi fatto dimenticare la complessità della strumentazione di questa “Dama” tanto spontaneo era il legame tra gesto, sonorità ottenute dall’orchestra e disvelamento di un percorso narrativo davvero insolito e arduo da possedere interamente. A lui sono stati rivolti gli applausi più numerosi e spontanei al termine della rappresentazione. E ancor più che alla amatissima Asmik Grigorian il pubblico ha riservato applausi anche a scena aperta al tenore uzbeco Najmiddin Mavlyanov, da alcuni specialisti criticato per una non perfetta corrispondenza di impostazione vocale in un ruolo che in passato era stato preso in carica da artisti di primissimo piano. Non era corretto, però, richiedere al protagonista caratteristiche attoriali diverse rispetto a un ruolo che nulla ha di nobile e perfettamente raziocinante: anche durante la conferenza stampa che ha preceduto la recita Mavlyanov si è presentato con una certa carica di naïveté che ben si sposa con il carattere rustico, sognatore, folle di Hermann. Voce pastosa, acuti in regola e una certa presenza scenica che non guasta mai hanno attirato applausi convinti fin dal suo primo intervento nel quadro primo. Incantevole, dalla emissione purissima era la Liza della Grigorian, che esprimeva tutta l’ambiguità innocente di un personaggio che con ritrosia iniziale si lascia conquistare dal folle amore di Hermann, salvo capitolare alla fine in un disperato mea culpa per essersi lasciata trascinare nel folle progetto dell’amato. Anche per lei vi sono stai applausi a scena aperta e autentiche ovazioni al termine della recita.
Nella Dama di Picche il Coro riveste un ruolo fondamentale, che è stato magnificamente preso in carico dalla formazione scaligera e dal direttore Malazzi, con il quale ultimo Gergiev si è visibilmente congratulato al termine della recita. Di grande impatto scenico e perfetta nella sua mescolanza di antica bellezza e attuale declino era la Contessa di Julia Gertseva, così come perfettamente inseriti nel ruolo erano il Tomskij di Roman Burdenko, l’Eleckij di Alexey Markov, la Polina di Elena Maximova.
Commozione, sorpresa e anche timore da parte del pubblico per una serata magica: quell’inciso «Tri karty» che Hermann continuerà a pronunciare nel corso della seconda parte dell’opera sarà davvero rimasto impresso per tutta la notte nella mente dei presenti.