di Attilio Piovano
Una Tosca en plein air, a Torino, vista la sera di martedì 5 luglio 2022, per il cartellone di Regio Opera Festival, dunque proposta entro la suggestiva la location del vasto cortile del centralissimo Palazzo Arsenale: come già avvenne per Cavalleria a inizio giugno, poi seguita da una singolare e sui generis Carmen (con tagli, ma soprattutto con inclusione di testi narrati, in italiano).
Apprezzabile il lavoro condotto sul versante ‘acustico’ per rendere accettabile l’ascolto di voci, orchestra e coro in una situazione all’aperto che – si sa – comporta sempre qualche inevitabile compromesso. Ancor più encomiabile il lavoro sul palcoscenico, molto opportunamente inclinato, sì da rendere visibile lo spettacolo agevolmente da ogni punto del parterre. E allora forse proprio dall’impianto scenografico e dalla regia, pulita, funzionale ed efficace, occorrerà partire. Scene semplici ed essenziali, ma fortemente suggestive, quelle predisposte dall’esperta Claudia Boasso volte a restituire – con la riproduzione di alcuni dettagli architettonici della Chiesa di Sant’Andrea della Valle in Roma, di frammenti degli affreschi di Palazzo Farnese e dell’immancabile angiolone sugli spalti di Castel Sant’Angelo – gli elementi irrinunciabili per ‘ambientare’ correttamente Tosca. Scene movimentate a vista, con ammirevole souplesse dalle esperte maestranze, sì da rendere brevissimo l’intervallo tra secondo e terzo atto. Entro le scene di tale nuova produzione (che ha potuto avvalersi dei tradizionali e pur fascinosi costumi di Laura Viglione) il regista Vittorio Borrelli ha mosso correttamente i personaggi restituendo tutta la suggestione del primo atto, con l’irruzione della gelosissima Floria Tosca in scena e il concitato dialogo tra Cavaradossi e l’ex console Angelotti, per poi culminare con la fastosa scena del Te Deum. Ammirevole la capacità di rendere il senso della sontuosa e solenne processione, con tanto di monache, prelati, chierichetti e nobiltà, pur entro uno spazio relativamente angusto, quantomeno dissimile rispetto al vasto palcoscenico del Regio dalle enormi potenzialità (ponti mobili ecc.).
Bene poi anche il second’atto reso con semplici giochi di porte e movimenti laterali dei personaggi, sì da suggerire un incredibile senso di pathos per le sorti del protagonista e lasciare giganteggiare le figure di Scarpia – sempre foriero di emozioni, nella sua laida protervia, e assatanata cattiveria – nonché di Tosca, in assoluto una tra le figure femminili di maggior spicco entro la galleria delle ‘donne’ di Puccini. Da ultimo, un semplice tavolaccio, in chiusura, per il carceriere e lo spazio giusto per le scariche di fucileria del plotone d’esecuzione, quindi la commovente presa di coscienza da parte di Floria Tosca di essere stata tradita, il suo sgomento, anzi la sua disperazione e il suo gettarsi nel vuoto dagli spalti. Ottime le luci di Christian Zucaro, con alcune significative ‘sottolineature’, discrete e pur incisive.
Il direttore Stefano Ranzani ha governato l’intero spettacolo con mano sicura, trovando i giusti equilibri, imprimendo i tempi corretti
Buona la prova fornita dall’esperta Maria Agresta che ha interpretato al meglio la figura della protagonista, sia sul piano vocale, sia sul versante scenico. Applausi a scena aperta per «Vissi d’arte» resa con molta sobrietà e toccante bravura, ancorché qualche lieve incertezza di intonazione in un paio di note si sia rilevata. Una performance, la sua, nel complesso di alto livello e di innegabile presa. Toccante il duetto conclusivo con il ‘suo’ adorato Mario ben sbozzato da Giorgio Berrugi, vocalmente a posto (anche qui, qualche piccolo incidente di percorso in «Recondita armonia», ma son cose che accadono), ottima presenza scenica ovvero resa attoriale e meritati applausi. Elchin Azizov ha sbozzato uno Scarpia convincente, in parte apprezzabile ‘anche’ la sua dizione. Giustamente contenuto – e il merito va alla regìa – nei suoi propositi lussuriosi (altri indulgono ben oltre il dovuto nel ‘mimare’ l’impellente desiderio dell’amplesso), insomma uno Scarpia convincente. Un plauso poi per Donato Di Gioia nel ruolo non facile del sagrestano, abile nel tenersi lontano da certi eccessi macchiettistici che spesso rischiano di inficiare l’efficacia del personaggio. Appena un poco ‘velata’ la vocalità di Angelotti (Enrico Di Geronimo); bene i restanti componenti del cast, Enzo Peroni nei panni di Spoletta (e si sa che, pur essendo breve, non è parte affatto trascurabile, stante la peculiare scrittura adottata da Puccini), Lorenzo Battagion – uno Sciarrone disinvolto e vocalmente incisivo – e Riccardo Mattiotto (il carceriere). Una speciale sottolineatura merita la voce bianca di Viola Contartese, un pastorello dall’impeccabile intonazione e dal buon equilibrio.
Ed è stata un’emozione unica ‘sentire’ le campane dell’alba romana, ideate da Puccini con un tocco di genialità che a oltre centoventanni anni dalla ‘prima’ continua a sorprendere, dislocate espressamente in luoghi remoti del vasto Cortile dell’Arsenale, con vero effetto spaziale, come in teatro (quasi) non si potrebbe: per una volta, trovarsi all’aperto ha giocato un ruolo positivo. Merito verosimilmente di una scelta da parte del direttore Stefano Ranzani che ha governato l’intero spettacolo con mano sicura, trovando i giusti equilibri, imprimendo i tempi corretti e indugiando su una quantità di dettagli timbrici che solamente a causa della collocazione all’esterno sono risultati in parte vanificati. Una direzione che si vorrebbe definire ottima, e che certo in teatro si sarebbe apprezzata ancor più per evidenti ragioni. Molto bene l’Orchestra del Regio, sempre ad alti livelli, e così pure il Coro e il Coro di voci bianche che in Tosca – si sa – giocano un ruolo niente affatto secondario, affidati alla direzione rispettivamente di Andrea Secchi e Claudio Fenoglio, professionisti di lungo corso a sicura garanzia di inappuntabile risultato. Applausi scroscianti per tutti, a fine serata, a suggellare un successo pieno e del tutto meritato.
Agli appassionati melomani rammentiamo il raro Don Checco di Nicola De Giosa che andrà in scena il 26, 28 e 30 luglio, mentre per chi predilige il côté sinfonico segnaliamo il concerto che si terrà il 15 luglio, direttore Jurai Valčuha e un bel programma impaginato sul versante di Rota, Bernstein, Prokof’ev e dell’inossidabile Boléro raveliano. Per gli amanti della danza occorrerà attendere settembre, l’8 e il 10 con Svetlana Zakharova & Vadim Repin, quindi il Béjart Ballet Lausanne a partire dal 14. Stay tuned.