di Gianluigi Mattietti
Tredici anni dopo la sua prima opera, Troilus and Cressida, Willam Walton compose la sua seconda e ultima opera, incoraggiato da Peter Pears, che gli aveva suggerito come soggetto L’orso di Čechov, per un atto unico da mettere in scena al festival di Aldeburgh.
La fondazione Koussevitsky Music Foundation fornì i fondi e Walton si mise subito al lavoro, adattando il testo di Čechov insieme allo scrittore Paul Dehn, e completando la partitura giusto in tempo per la prima, che andò in scena alla Jubilee Hall di Aldeburgh il 3 giugno 1967. Rispetto a Troilus and Cressida, opera drammatica costruita sui canoni del melodramma romantico, con ampio un cast, coro e grande orchestra, The Bear fu concepita come una “extragavanza”, una commedia dal tono caustico e farsesco, con un organico orchestrale ridotto al minimo e solo tre cantanti, dai tratti caricaturali. L’opera all’inizio fu ben accolta e messa in scena in diversi teatri, ma la critica la stigmatizzò come anacronistica e uscì presto dal repertorio.
La vicenda è quella della bella vedova Popova, fedele alla memoria del defunto (e infedele) marito, e sepolta in casa, nonostante gli inviti del servitore Luka a smettere il lutto. Irrompe in casa Smirnov, proprietario terriero e tenente di artiglieria in congedo, che esige l’immediata restituzione di una somma di solti prestati al defunto marito. Ne nasce un’accesa disputa con la vedova, che culmina in una sfida a duello, con pistole, e, a sorpresa, nell’innamoramento dei due, che alla fine si abbracciano sotto lo sguardo incredulo di Luka.
Su questa lettura čechoviana, e molto ironica, della guerra dei sessi, Walton ha creato una partitura piena di arguzia, con le parti vocali modellate direttamente sulla recitazione, ricca di dettagli descrittivi, di onomatopee, ispirata allo stile buffo dei compositori italiani che il compositore inglese tanto ammirava, come Rossini, Donizetti e il Puccini di Gianni Schicchi, testimoniando il suo temperamento fondamentalmente latino e mediterraneo.
L’opera è andata in scena al Festival di Lerici, con l’orchestra Orchestra dell’Opera Giocosa di Savona (che la coproduceva), Giulio Arnofi sul podio, che sottolineava con vividezza i tratti salaci della scrittura orchestrale, una regia essenziale di Ivan Leo Lemo, che con pochi oggetti di scena (qualche sedia, dei leggii, dei fiori, dei ritratti del marito defunto, costumi portati da casa) riusciva a cogliere bene il sottile humour dell’opera, calcando solo un po’ troppo, e inutilmente, sulle movenze effeminate di Luka. Ammirevoli i giovani cantanti (il mezzosoprano irlandese Aebh Kelly nei panni di Popova, il baritono scozzese Paul Grant in quelli di Smirnov, il baritono spagnolo Sebastià Serra nel ruolo di Luka) alle prese con parti vocalmente impegnative, e molto convincenti nella recitazione. Era la prima volta che il Festival di Lerici presentava un’opera, ed è parsa molto apprezzabile la scelta di questa “chicca”, oltretutto molto adatta all’ambiente tradizionalmente molto “british” del Golfo dei Poeti. Peccato che il palcoscenico fosse quello del Teatro all’aperto della Rotonda Vassallo, con il trambusto dei vacanzieri e del parco giochi limitrofo.
Molto penalizzato da questo sottofondo è stato poi il concerto del pianista Christian Blackshaw, che ha dato una lettura molto intimistica dei Quattro Improvvisi op.90 di Schubert e della Fantasia op.17 di Schumann, con pennellate di suono delicatissime, la cui squisitezza si perdeva nel vociare d’intorno e nello sciabordio delle onde dei poeti.