di Attilio Piovano
Un’opportunità preziosa e relativamente rara, quella offerta dall’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, vale a dire l’integrale delle Sinfonie di Mendelssohn in tre serate (due delle quali con replica) a distanza ravvicinata, in questo primo scorcio di gennaio 2023, a Torino, presso l’Auditorium ‘Toscanini’: una vera e propria full immersion, con diretta radiofonica per Radio 3 Suite, streaming e registrazione TV per Rai 5 (Rai Cultura). La direzione artistica, molto opportunamente, ha affidato il ‘ciclo’ alle mani esperte di Daniele Gatti, già avvezzo a imprese di tal fatta.
Il clou la sera di lunedì 16 gennaio (concerto straordinario, serata unica fuori abbonamento) con l’esecuzione della Seconda Sinfonia detta ‘Lobgesang’ e concepita all’insegna di un’imponente grandiosità (dato l’esplicito assunto celebrativo). Per l’occasione, ad affiancare l’OSNRai, sono stati convocati il Coro del Teatro Regio di Torino (ottimamente istruito da Andrea Secchi) e i solisti Sara Blanch (soprano), Michèle Losier (mezzosoprano) e il tenore Bernard Richter. Gatti ha fatto il possibile (e a dire il vero l’impossibile), occorre riconoscerlo, per attenuare quel senso di ridondanza che aleggia nella prima parte del lavoro: più ancora quel quid di dispersivo e un poco rapsodico (absit iniuria verbis) che di fatto costituisce il fascino, forse anche il limite della parte strettamente strumentale dell’atipico lavoro sinfonico. Poi con la comparsa del coro «Alles, was Odem hat, lobe den Herrn» è stato tutto un fluire di atmosfere ieratiche e scorrevoli, al tempo stesso, che Gatti ha ben colto. Non solo: direttore e orchestra hanno posto in evidenza tutte le affinità che all’ascolto è dato scorgere con l’oratorio Elias, in assoluto uno dei vertici dell’arte mendelssohniana.
Equilibrati e omogenei i solisti, sia sotto il profilo timbrico, sia sul piano dinamico: dei tre emergeva per bravura il citato tenore; buona la performance del Coro del Regio, appena qua e là (nel suggestivo Corale ‘a cappella’ «Nun danket alle Gott») qualche occasionale imprecisione ritmica, qualche battuta non perfettamente in asse, piccole cose che, peraltro, di certo sarebbero scomparse nel caso di una replica. Toccante il coro finale che ha strappato lunghi e meritati applausi.
Il ciclo aveva preso le mosse mercoledì 11 gennaio (turno blu in abbonamento, con replica giovedì 12 per il turno rosso). In programma la Prima Sinfonia che, di fatto, è assai raro incontrare, accostata alla celeberrima e sempre gradita Terza, vale a dire la ‘Scozzese’ ispirata a brume, leggende e tradizioni nordiche. Di entrambe Gatti – ben assecondato dall’OSNRai in gran forma – ha perfettamente colto il ‘colore’. E allora ecco restituito tutto il pathos romantico della Prima, adagiata in quel suo do minore che pare ricollegarsi a Beethoven, prendendone peraltro le distanze e, più ancora, il ‘flavour’ nebbioso della ‘Scozzese’. Di cui è particolarmente piaciuto il movimento lento (fin dall’esordio si è compreso che sarebbe stata un’esecuzione di alto livello). Molto suggestivo aver evidenziato, giustamente senza enfasi eccessiva, le allusioni a cornamuse ed elementi ‘gaelici’. Bene dunque anche lo Scherzo con quei suoi richiami boscherecci che sempre riscaldano l’animo e il cuore, giù giù sino all’altisonante sezione conclusiva, in cui gli elementi folklorici paiono sublimarsi in un inno di felicità e di ottimismo, a riconferma del Romanticismo felice di Mendelssohn (Felix, nomen omen, come si suol dire).
Da ultimo giovedì 19 (con replica venerdì 20) abbinamento di ‘Italiana’ e Riforma’, ovvero Quarta e Quinta Sinfonia. Dell’Italiana Gatti ha dato una interpretazione davvero magistrale. Esordio del primo tempo assai pacato, verrebbe da dire quasi ‘dimesso’ del tutto privo di quell’allure fiammeggiante (plateale e talora fin nevrotica) che altri direttori imprimono alla celebre partitura. Ma subito è emersa una profondità incredibile di lettura. Ancora una volta, a colpire è stata la quantità di dettagli posti in luce, certi tratti di legni o viole, la nitida clarità della concertazione e poi quel ‘teatrale’ rallentando verso la fine e l’effettistico accelerando in chiusura, unica ‘concessione’. Ma si sa, un’esecuzione non si giudica da un solo movimento, occorre valutare l’intero brano, come in prospettiva. E allora, ammirevole è stato il climax immaginato da Gatti, con l’Andante cesellato a meraviglia (fraseggi a dir poco stupendi), il bonario e rassicurante Con moto e da ultimo, con calibrato senso della forma, ecco poi tutta la verve e l’effervescenza dello sfrenato Saltarello che ha strappato lunghi applausi e vasti consensi. Raramente, ascoltando l’Italiana è accaduto di provare così intense emozioni ritrovandola come rigenerata, pur nel rispetto del dettato testuale, interpretato nel contempo con intelligente souplesse. Una vera lezione di stile.
Della ‘Riforma’, infine, Gatti ha molto opportunamente posto in luce la monumentalità e lo storicismo, distillando con cura l’esordio per poi fiondarsi entro l’Allegro con fuoco iniziale con la giusta determinazione. Anche qui non poche le emozioni provate nell’ascoltare il più che pianissimo del cosiddetto Corale di Dresda, vera sintesi ‘ideologica’ dell’intera partitura che, non a caso, più volte riemerge, così anche dinanzi ai tempi successivi, specie il Finale introdotto dalla celebre melodia del Corale «Ein feste Burg ist unser Gott» affidata al flauto. Quindi ecco il catartico e solenne epilogo, siglato da un tripudio di smaglianti sonorità. Festa grande per tutti e la riprova che l’OSNRai – ammirata in questo non comune tour de force – è una compagine di alto livello, in grado di competere con le principali formazioni mondiali, davvero ottima in tutte le sue sezioni. Sicché l’intero ciclo mendelssohniano resterà prevedibilmente impresso a lungo nella memoria di audiofili e appassionati.