di Luca Chierici
Registrata alla Scala tra il 19 e il 20 febbraio del 2021 sotto la direzione di Chailly, quando il teatro era ancora off-limits per il pubblico, e trasmessa in differita televisiva, Salome aveva già allora seguito un percorso tortuoso che avrebbe dovuto avere inizio nel marzo dell’anno prima con Zubin Mehta, uno spettacolo che era stato cancellato a causa dello scoppio della pandemia.
Oggi finalmente il capolavoro straussiano è ritornato in teatro in condizioni “normali” con alcuni cambiamenti non da poco nel cast e qualche aggiustamento nei dettagli della regia di Damiano Michieletto e nelle scene di Paolo Fantin, con la collaborazione essenziale dei costumi di Carla Teti, delle luci di Alessandro Carletti e delle coreografie di Thomas Wilhelm. L’esperienza di quell’ascolto di due anni fa, che alcuni di noi avevano potuto seguire in teatro (si veda la nostra recensione qui), era stata per altri versi indimenticabile sia per i caratteri forti della messa in scena, che per la direzione tesissima di Chailly.
L’impianto registico di Michieletto insisteva su una lettura psicanalitica della vicenda giocando sull’aspetto genealogico dei rapporti tra i protagonisti (con tanto di albero visualizzato dallo scenografo) nel ricordarci come un filo neanche troppo sottile leghi Salome, figlia di Erode Filippo, al patrigno Erode Antipa, colui fece uccidere Filippo su istigazione di Erodiade e gettare nella famosa cisterna che ospitava il profeta Jochanaan. La presenza di una giovanissima controfigura di Salome testimonia l’avvenuto incesto ad opera di Erode, mentre la Salome adulta viene violentata da sei uomini, sei repliche di Erode, come lui vestiti e anch’essi mascherati. A differenza della passata messa in scena, la decapitazione di Jochanaan richiesta a Erode Antipa da una Salome sempre più posseduta dalla figura del profeta è accompagnata dalla comparsa di un teschio, che raffigurerebbe il padre Erode Filippo. Il bacio morboso di Salome non è più dunque rivolto al Profeta bensì al padre stesso, come suggello di una riconquista della figura paterna dalla quale ella si era sentita rifiutata.
Se la rivisitazione da parte di Michieletto, diciamo pure piuttosto cervellotica ma se non altro coerente dall’inizio alla fine, dà luogo a uno spettacolo di indubbio spessore, l’elemento chiave del successo di questa Salome rimane sempre e comunque la straordinaria potenza della musica straussiana, che si impone anche al di sopra dell’interpretazione da parte del regista. E la recita tiene col fiato sospeso il pubblico sia per la visione a tutto tondo del regista ma anche e soprattutto perché Strauss tesse una trama fatta solamente di temi conduttori e di uno straordinario utilizzo dell’orchestra che hanno il potere di descrivere realisticamente, con esasperata crudezza, l’immane tragedia. In questo senso la lettura di Alex Kober, non così interessante come era stata quella pensata e sostenuta da Chailly, si è prestata con il suo approccio tradizionale e altamente professionale a fungere da colonna sonora perfetta per la serata. Una lettura che stava egregiamente in piedi nonostante una corrispondenza non certo perfetta con quella di Michieletto e Fantin: alla faccia di chi vorrebbe per legge una prevaricazione della seconda sulla prima, non siamo ancora arrivati, oggi, a un ribaltamento delle categorie del tipo “prima la regìa, poi la musica”. Come saggiamente lo stesso Strauss di Capriccio aveva preconizzato parlando del ben noto dilemma che contrapponeva parole e musica, l’ideale da raggiungere sarebbe appunto quello di una fusione armoniosa tra i due elementi.
Rispetto all’edizione del 2021 la compagnia di canto poteva contare sulla voce e l’infallibile temperamento della protagonista, il soprano lituano Vida Miknevičiūté, che davvero si è piegata alle difficile richieste sceniche pur assicurando una magnifica lettura del testo secondo la più accreditata tradizione. Wolfgang Ablinger-Sperrhacke ha anch’esso dato vita a un Herodes di buono spessore mentre lo Jochanaan di Michael Volle, se era ineccepibile, granitico, dal punto di vista interpretativo, lasciava purtroppo molto a desiderare da quello scenico, se si pensa alla marcata sensualità che caratterizza il personaggio nel libretto. Linda Watson, già ascoltata nella precedente edizione quale Herodias, si è rivelata ancora cantante e personaggio del tutto a proprio agio con i difficili e contraddittori caratteri del proprio ruolo di matrigna gelosa e poi sostenitrice della assurde richieste della figlia. Il carattere debole e indeciso di Narraboth, stregato dalla bellezza della protagonista, è stato coerentemente rivelato dal tenore Sebastian Kohlhepp. Bravi i comprimari tutti, a partire dal “Paggio” di Lioba Braun.
Il successo della serata è stato pressoché unanime: si è avuta comunque l’impressione che gran parte del pubblico abbia identificato nel solo elemento scenico-registico la responsabilità di un impatto dovuto in larga parte all’elemento musicale, che andrebbe in ogni caso studiato e meditato nei dettagli prima di qualsiasi ascolto.