di Luca Chierici
Nel suo rapporto con il pubblico, Sir András Schiff ha sempre esibito, anche in passato, un lato un poco professorale che disturbava una piccola parte degli appassionati che lo segue oramai da tantissimi anni anche a Milano, dove ha tenuto fin dai primi anni Novanta interi cicli dedicati ad esempio a Beethoven e a Schubert.
Non si trattava, un tempo, di vere e proprie conferenze-concerto, ma la scelta da parte del pianista di suonare su almeno due pianoforti per differenziare la timbrica nel caso di autori diversi, e di commentare queste opzioni, era a volte vista come una esigenza un poco esibita, una raffinatezza della quale spesso non si apprezzava interamente la necessità.
Ma da qualsiasi lato lo si consideri, il talento di Schiff resiste a qualsiasi attacco, perché la statura dello strumentista, dell’interprete è fuori discussione e ogni suo recital ha il pregio di restituire al pubblico i testi sacri con una partecipazione sincera e una profonda conoscenza del fraseggio e dell’importanza che tali testi rivestono all’interno della cosiddetta musica classica. Né il suo pianismo ha mai avuto a che fare con una tendenza che tende a collocare il repertorio sette-ottocentesco in un contesto più attuale, quasi a voler sottolineare, da parte di qualche illustre collega, l’impellente modernità del linguaggio di autori a volte relegati in una dimensione troppo storicizzata.
Questa volta, il recital che Schiff ha tenuto per la Società del Quartetto era strutturato davvero come lezione-concerto e se l’annuncio di un “programma a sorpresa” poneva più di un dubbio (quasi tre ore di concerto a memoria non si improvvisano da un momento all’altro) il risultato complessivo ha meritato il convinto applauso della sala tutta. Parliamoci chiaro: le osservazioni che Schiff ha esternato a riguardo del carattere e della storia di ogni pezzo eseguito “all’impronta” non erano certo nuove e diciamo pure che tali osservazioni dovrebbero far parte integrante della conoscenza di ogni persona che si reca ad assistere a un concerto, conscia di ciò che si va ad ascoltare.
Lo spettatore medio non è in linea di massima tenuto a conoscere i dettagli delle composizioni meno note di musicisti poco eseguiti, ma le informazioni relative all’Offerta Musicale e al Capriccio sopra la lontananza di Bach, il valore delle Bagatelle op. 126 di Beethoven, persino i motivi che spiegano l’esistenza della Kleine Gigue K 574 di Mozart dovrebbero essere noti ai più. Schiff ha ricordato tutto ciò appellandosi alle proprie capacità divulgative e gliene siamo comunque grati. In maniera minore si comprendono i suoi appunti sulle presunte affinità tra tonalità e colori o l’abbinamento tra le sezioni della Fantasia in do minore di Mozart e i personaggi del Don Giovanni. Forse una più ridotta tendenza esplicativa avrebbe ridotti i tempi della serata a tutto vantaggio dell’attenzione del pubblico verso i valori musicali di quanto eseguito. In ogni caso, lo ripetiamo, il risultato prettamente concertistico è stato al di sopra di ogni appunto, anzi non ha fatto altro che confermare la sensibilità e la conoscenza a tutto tondo del repertorio dal parte del pianista ungherese, che ha tra le altre cose interpretato da par suo anche la Sonata K 570 di Mozart, la quinta Suite francese di Bach, la Sonata in do minore di Haydn e il meraviglioso Andante con variazioni dello stesso musicista, elemento insostituibile di un quadriumvirato (Bach, Haydn, Mozart, Beethoven) che costituisce il fondamento della musica tutta.