di Monika Prusak
“Piani e forti variamente temperati” è il titolo del concerto che il pianista e compositore Giovanni Damiani ha proposto all’interno della sessione autunnale della rassegna Tracce di suoni, organizzata dal Conservatorio di Musica “Alessandro Scarlatti” di Palermo in collaborazione con la sede Sicilia del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Oltre al concerto di Damiani, il pubblico ha assistito a un cineconcerto preparato dagli studenti del secondo anno di corso del Csc Sede Sicilia con musiche dal vivo composte e interpretate dagli studenti del Conservatorio di Palermo sotto la direzione di Peter Wegele, due concerti di nuove musiche, elettroniche e non, composte ed eseguite dagli studenti dei conservatori di Palermo e di Trapani, e una conferenza conclusiva di presentazione di un prezioso volume di Alessandro Mastropietro “Nuovo Teatro Musicale fra Roma e Palermo, 1961-1973”, pubblicato da Libreria Musicale Italiana, che ha visto tra relatori i musicologi Pietro Misuraca e Gabriele Garilli, la vedova dello scrittore e drammaturgo Aurelio Pes, Katia Pes, e il regista e direttore artistico del Teatro Libero Incontroazione – Teatro Stabile di Palermo, Beno Mazzone. Il concerto di Damiani ha costituito il punto culmine della rassegna, una sorta di incontro con un autore-interprete di opere proprie e altrui, che ha, inoltre, scelto di introdurre le opere da solo. In programma tre compositori significativi, ma non proprio conosciuti: il russo naturalizzato francese Ivan Wyschnegradskij, pioniere storico della microtonalità morto nel ‘79, e due compositori attuali, l’austriaco Georg Friedrich Haas e lo stesso Damiani.
Vanno intanto lodati l’idea e il coraggio di Damiani nel costruire un programma di tale spazialità temporale, che accosta l’”antico” (Wyschnegradskij è nato nell’Ottocento) al nuovissimo, mostrando i legami con le scelte sonore e strumentali pur nella diversità totale di approccio alla composizione. Lo strumentario consisteva in tre tastiere, organizzate da Damiani stesso, quella di un pianoforte a coda e due tastiere microtonali con collegamento al computer. Ad aprire il concerto è stata l’Op. 44 di Wyschnegradskij: il Poème n. 1 a sesti di tono per il pianoforte a microintervalli di Julian Carillo (costruttore messicano di pianoforti microtonali) qui programmato da Damiani, composto nel 1958 e revisionato nel 1972, ma eseguito in prima assoluta. Il n. 2 dell’Op. 44, Etude in dodicesimi di tono, utilizza una scala particolare, che grazie alla divisione di un tono in dodici parti ripercorre tutta la tastiera del pianoforte con l’effetto sonoro concentrato su poco più di un’ottava. L’Op. 44 di Wyschnegradskij si lega indissolubilmente all’Op. 48 del 1966 di cui Damiani ha eseguito il n. 1 Prelude e il n. 2 Etude, entrambi a terzi di tono. Come scrive lo stesso Damiani nelle note di sala “Wyschnegradskij è tra i suoi coetanei l’autore delle opere più sconvolgenti e meno rassicuranti”. Di fatto, quello che arriva all’orecchio dell’ascoltatore è una sorta di ricerca sonora non ben definita. Interessanti dal punto di vista microtonale, le opere di Wyschnegradskij non sembrano aspirare ad essere comprese, sfuggendo piuttosto a una qualsiasi soddisfazione dell’attesa uditiva e protraendo il discorso musicale in maniera apparentemente caotica.
Tutto un altro approccio troviamo nella nuova opera di Damiani, Qui Fibonacci- ovunque, che impiega il pianoforte a coda e una seconda tastiera elettronica programmata in Csound e diffusa in quadrifonia (con quattro canali per la diffusione al posto dei due della stereofonia). La composizione si basa sulla serie di Fibonacci applicata ai valori ritmici e alle altezze, che si sposta di gradi o di valori o procede a ritroso, creando a sua volta altre serie gemelle. I due strumenti oscillano in una sfida continua, si inseguono, dialogano, svelando attraverso sonorità dense e profonde un incontro toccante tra due realtà distanti. C’è qualcosa di nostalgico in quel suono virtuale, una eco vintage di sonorità passate, che accostata al suono acustico del pianoforte a coda crea un effetto complesso, ma suggestivo e accogliente. Gli strumenti si scambiano le battute in un incessante dibattito sonoro: non c’è un momento di tregua, se non verso la fine del brano, quando il ritmo e le dinamiche si placano gradualmente. Dopo un lungo applauso, Damiani conclude con l’Hommage à Ligeti per due pianoforti a quarti di tono (1982-84) di Haas, qui eseguito su un pianoforte microtonale e sulla tastiera acustica. L’omaggio, indubbiamente legato al centenario della nascita di György Ligeti, chiude il concerto in maniera dinamica e ipnotica allo stesso tempo: l’intensità della composizione e dell’interpretazione mantiene la tensione alta fino all’ultimo accordo della serata.