Opera • Dopo dieci anni dall’ultima messa in scena torinese ecco l’opera di Umberto Giordano ispirata allo storico poeta e rivoluzionario ghigliottinato durante l’epoca del Terrore
di Attilio Piovano
N otevole successo, l’altro ieri sera, al Regio di Torino con «Andrea Chénier»: innegabile capolavoro di Umberto Giordano (riappare a dieci anni esatti dall’ultima messa in scena), nonostante certe eterne riserve della critica propense ad imputarle eccessi di impeto e accenti enfatici, opera in realtà fitta di preziosità armonico-timbriche, ma anche di pagine di incantevole lirismo. E dire che il pubblico delle prime in genere è freddino e distaccato. E invece ieri sera a fine spettacolo gli applausi sono fioccati copiosi. Merito del cast, e così pure dell’ottimo (e tradizionale) impianto scenografico-registico: allestimento proveniente dal Carlo Felice di Genova, ma ‘rifatto’ pressoché in toto dal Regio con la funzionale regia di Lamberto Puggelli che si è affacciato alla ribalta, strappando applausi commossi, date le precarie condizioni di salute (regista collaboratore Salvo Piro).
Nel cast gran successo del fuoriclasse Marcelo Álvarez nei panni del poeta e rivoluzionario ghigliottinato durante il Terrore. L’opera con la quale Giordano raggiunse fama internazionale, su libretto non eccelso di Illica, è un feuilleton a forti tinte, ma la cornice storica non è che un pretesto per un’appassionante storia d’amore tra Chénier e la contessina Maddalena di Coigny. Il culmine è un finale tragico con la coppia che sale al patibolo dopo un supremo gesto d’amore della donna sostituitasi ad un’altra condannata. Interpretazione vocale esuberante, quella di Álvarez che ha saputo ben convincere anche sul piano drammatico, calandosi al meglio nel temperamento focoso di questo artista, sognatore e idealista. A tratti una gestualità lievemente enfatica e un po’ datata, ma è peccato veniale che passa in secondo piano di fronte alle sue doti vocali d’eccezione. Meritatamente molto applaudito il baritono Alberto Mastromarino nel ruolo di Carlo Gérard, già maggiordomo in casa Coigny, poi eroe imbevuto di idee libertarie e antagonista di Chénier, giacché anch’egli innamorato di Maddalena: ruolo contraddittorio che alterna impennate, sensi di colpa e, da ultimo, slanci e turbamenti. Vocalità eccellente e buona gestualità, ha ottenuto non pochi applausi a scena aperta. Applausi generosi anche per María José Siri, pur dal timbro non sempre omogeneo, ma vocalmente a posto, con molte eleganze e apprezzabili mezze tinte: interprete inoltre dalla fascinosa presenza scenica e dalle buone doti di attrice. A completamento del vasto cast (impossibile citare tutti) un pool di interpreti ben allineati su alti standard. Ci limitiamo a citare i mezzosoprani Giovanna Lanza (la mulatta Bersi) e Chiara Fracasso (la contessa di Coigny e Madelon). Splendide scene di Paolo Bregni iper-realistiche, dapprima arcadiche, poi con sventolio di bandiere e folle di popolo e molti en plein air, bei costumi di Luisa Spinatelli (un tocco di simpatica ironia nelle enormi parrucche fuori ordinanza per gli aristocratici targati ancien régime) ed apprezzabili pseudo citazioni dal mondo figurativo: per dire, la plebaglia che si permette di ‘rovinare la festa’ irrompendo nel bel mezzo della gavotta pare il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo e così pure molti ‘fermo immagine’ nel terzo e quarto quadro (ottimi i movimenti coreografici di Tiziana Tosco).
Efficace e funzionale la regia di Puggelli che muove bene le masse e risparmia in chiusura inutili truculenze da grand guignol alludendo semplicemente alla ghigliottina con una carretta e una scala, in una luce limpida, aurorale, davvero elegante. Ottima la prova del coro, specie laddove impersona la turbolenza irrequieta della folla rivoluzionaria, istruito da Claudio Fenoglio.
Sul podio Renato Palumbo; imprime uno spessore fin troppo verista ad una partitura che vorrebbe cura nei dettagli, delicatezza per certe striature intimiste, echi puccinani e dal dramma lirico francese che invece vengono lasciate da parte a favore di dinamiche sempre oltremodo generose, talora francamente eccessive, col rischio di coprire (spesso) le voci. Anche il calco settecentesco richiederebbe più cura e lavoro di bulino. L’orchestra ha risposto bene, con sonorità, conseguentemente fin troppo altisonanti. Da ultimo una nota negativa: addirittura tre (lunghi e defatiganti) intervalli dovuti – ci spiegano – ad esigenze: e dire che «Chénier» non è affatto un’opera che richieda ‘riposi’, non è per nulla prolissa, al contrario fila via liscia. Spezzettarla in tal modo significa attenuarne la concentrazione. Peccato davvero. Molte le repliche, grazie alla presenza di un doppio cast: il 16, 18, 20, 23, 24, 26, 27 e 30 gennaio (protagonisti della seconda compagnia Gustavo Porta, Silvio Zanon e Chiara Taigi). Inoltre segnaliamo la diretta radiofonica prevista per mercoledì 23: per chi desidera vivere le emozioni del live e magari ‘verificare’ le nostre impressioni di ascolto.
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sono andato alla recita del 23 gennaio devo dire che nutro delle riserve sul soprano,in quel ruolo,ha dimostrato dei limiti specie nella mamma morta,e nel duetto finale; il duetto,mentre Alvarez lo ha cantato dignitosamente,la Siri non mi è parsa all’altezza,anche Mastromarino,voce molto in gola,ma sugli acuti ha dato prova positive, le due sue arie famose,cantate abbastanza bene,e con passione,recita tutto sommato dignitosa,brava l’orchestra,la direzione,e il coro.