[wide]
Opera • Nella suggestiva cornice delle carceri del Castello Carrarese è andato in scena il titolo di Donizetti con la direzione di Gianpaolo Bisanti alla guida dell’OPV
di Elena Filini
La lirica d’estate è il teatro della buona volontà di amministrazioni sensibili, della passionaccia di direttori artistici entusiasti, di un pubblico sanguigno e non di rado di buone sorprese. In una declinazione pop che aiuta la provincia a riappropriarsi della sua letteratura musicale a prezzi responsabili e, insieme, a proporre occasioni più destrutturate di avvicinamento al genere. In questa prospettiva, è giusto attendersi da queste occasioni nulla più di ciò che esse possono dare, senza adeguare categorie di giudizio adatte a teatri e situazioni più blasonte, che godono inoltre di altro tipo di finanziamenti. L’operazione “L’Elisir d’Amore” al Castello Carrarese di Padova, riaperto dopo lustri per il progetto “Lirica sotto le stelle”, nel complesso è stata più che convincente e merita di essere incoraggiata: molto interessante l’idea di rendere fruibile all’opera lo spazio delle antiche carceri, particolarmente felice sotto il profilo acustico e, una volta completati i lavori, di enorme fascino. Entrando nel tecnico la recita di venerdì 26 luglio ha messo in luce un’interprete a cui pronosticare un solido futuro: è il soprano Lavinia Bini, perfetta Adina, fortunatamente lontana dal profilo un po’ querulo cui spesso si relega il personaggio.
Il soprano fiorentino, che ha quest’anno vinto con il ruolo di Adina il concorso As.Li.Co e girerà il circuito lirico lombardo con l’opera donizettiana, canta con perfetta proiezione ed appoggio sicuro, vanta una gamma davvero omogenea e anche se il do sovracuto è sicuro, la trama più affascinante risiede nel registro medio. Musicalmente autorevole e scenicamente freschissima, ha dominato la scena. Nonostante l’annunciata indisposizione anche Fabrizio Paesano si disimpegna bene nel ruolo di Nemorino, con l’unica parziale eccezione dell’aria «Una furtiva lagrima», dove forse l’emozione compromette morbidezza e proiezione. Anche il baritono Mattia Olivieri entra in scena con qualche compressione: l’aria «Come Paride vezzoso» è risolta con qualche timidezza, e nel corso di tutto il I atto il suono rimane spesso indietro. La sua prova però cresce costantemente: l’attore non manca di physique du rôle e verve, il cantante potrà trovare – pur nella pasta scura – accenti più brillanti e maggiori armonici. Paolo Rumetz interviene d’urgenza alla sostituzione di Filippo Morace, previsto “dottor Dulcamara”, e reca in porto la recita forte di una cosumata esperienza.
La prova funzionale di Silvia Celadin (Giannetta) completa la locandina artistica insieme al Coro città di Padova istruito da Dino Zambello. La regia di Giulio Ciabatti è semplice ma vivace e anche gli essenziali elementi scenici sono giusta cornice ad un’idea agile e brillante del lavoro donizettiano, resa glamour dai costumi anni Cinquanta mutuati dalle sartorie del Teatro Regio di Torino. La qualità di suono dell’Orchestra di Padova e del Veneto ha fatto ben comprendere la differenza di pulizia e amalgama di una compagine che opera prevalmentemente nel repertorio sinfonico. Tuttavia la direzione di Giampaolo Bisanti – pur nella consueta organicità ed efficienza – anziché alleggerire gli accenti e creare un fondo trasparente, ha operato con una visione tutta centro-ottocentesca, più vicina al teatro verdiano che all’opera buffa, appesantendo (almeno questa l’impressione dalle prime file) la buca e creando squilibri con il palcoscenico che hanno impensierito a tratti Nemorino e Dulcamara. Licenziata con un “più” la seconda edizione di “Lirica sotto le stelle” a Padova, si attende la programmazione autunnale al Teatro Verdi.
© Riproduzione riservata