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Chloe Mun, ginepro e alloro per un tempestoso Chopin

di Attilio Piovano
11 Novembre 2015
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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La giovane pianista, vincitrice di importanti premi internazionali, ha suonato a Torino un programma interamente dedicato al compositore polacco


ASCOLTA QUESTO CONCERTO NEI PROSSIMI GIORNI ABBONANDOTI AL CORRIERE MUSICALE


di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino


GIÀ VINCITRICE ASSOLUTA del Concorso di Ginevra 2014, la sudcoreana Chloe Mun ha sbaragliato anche al Busoni 2015, tra i più blasonati concorsi pianistici internazionali, soprattutto – si sa – uno tra i più ‘duri’ dove le selezioni sono severissime. Sicché da chi esce laureato in tale competizione ci si aspetta davvero molto. Prima asiatica nella storia del Busoni a giungere sul podio, la Mun pare ricalcare le orme di Martha Argerich che analogamente nel 1957 vinse entrambi i premi. Un segno di buon auspicio, per una promettente carriera. I numeri ce li ha tutti, e non a caso ha già suonato da solista e con orchestra in Giappone, Polonia, Francia, Italia, Germania e Repubblica Ceca. Classe 1995, fisico minuto, ma una grande determinatezza e una spiccata personalità musicale, è approdata a Torino, presso la Sala Cinquecento del Lingotto dove si è esibita in occasione del concerto inaugurale per la stagione dei giovani. Sala piena, molti i musicofili e gli esperti, critici e soprattutto un nutrito parterre di giovani – il pubblico di domani – per una giovanissima e già agguerrita pianista che ha offerto un programma per intero chopiniano.


Per fortuna, però, ci troviamo dinanzi a una pianista che non ha l’aggressività atletica di molte altre macchine da concorso e questo è un gran bel pregio


In apertura del suo recital monografico, la sera di martedì 10 novembre, campeggiava lo  Scherzo op. 54 e subito Chloe Mun stupisce nei passi volanti e nei tratti sognanti, per il leggiadro gioco perlaceo, il bel cantabile e la corposità dei bassi. Certo, può crescere ancora ed acquisire maggior gamma coloristica e un più libero abbandono (in apertura era molto ‘tenuta’ e l’emozione fa sì che qualche nota venga sporcata, ma siamo pur sempre di fronte ad una ventenne). Ha dalla sua un già maturo senso della forma che conferma poi anche nella Polonaise-Fantaisie op. 61 dove ha modo di svelare un sapiente gioco di timbri, pur in presenza di qualche asprezza. Per fortuna, però, ci troviamo dinanzi a una pianista che non ha l’aggressività atletica di molte altre ‘macchine da concorso’ e questo è un gran bel pregio. Certo dovrà acquisire una buona dose di magnetismo per saper conquistare il pubblico, ma ha tempo per crescere e maturare. Coglie bene il senso di profonda melanconìa di questa pagina sublime ed è già abile nel calibrare le risorse. E allora quella che pare una certa monocromìa nella parte centrale è in un realtà la pista di lancio per far conflagrare il fuoco, sbrigliare le dita e la fantasia nella spasmodica eccitazione della parte conclusiva.

Poi affronta quel monumentum visionario e profetico che sono i 24 Preludi op. 28, «rovine e penne d’aquila, il tutto disposto selvaggiamente alla rinfusa» secondo la celeberrima definizione dettata da Schumann. La Mun rivela una complessiva ottima tenuta (anche psicologica) e una sua visione corretta e già ben individuata dell’intera raccolta, con alcuni apici, quanto ad emozione: è il caso del n. 15 (notissimo in re bemolle maggiore) entro il quale riesce a regalare un cantabile di fascinosa timbratura nella parte iniziale per poi costruire con abilità il poderoso climax della zona mediana. Coglie bene il senso aforistico di molti di questi Preludi, spesso brevissimi e lancinanti. E allora la vaporosa leggerezza del primo, la cupa tetraggine simbolista del secondo (ma l’avremmo voluto un po’ più alonato, con un suono più ‘pre-impressionista’), bene le screziature capricciose del terzo; niente smancerie e un delizioso cantabile nel quarto e il giusto spirito salottiero e leggiadro nel quinto; forse nel sesto con quella melodia di violoncello alla sinistra si sarebbe potuto giocare maggiormente quanto a timbratura, e così pure il settimo (una smagata Mazurka di dimensioni brevissime): la Mun lo prende fin troppo sul serio. Per contro restituisce tutta la poesia dovuta alle suggestive macchie di colore del n. 8, la densità armonica del nono, la scioltezza del decimo e la delicata leggerezza del successivo. Qua e là qualcosa non convince: per dire, nel n. 12 deve conquistare in termini di pathos, e quel senso dell’affannoso incalzare che per ora resta solo preconizzato, in fieri e del tutto in nuce; anche nel n. 13 desta minime perplessità e si vorrebbe più gioco di pedale, ma sono piccole cose a fronte di momenti assai emozionanti come ad esempio il carattere fantasmatico del n. 14 e il tono già quasi schumanniano del successivo che la Mun focalizza al meglio. Sfodera un virtuosismo misurato ma efficace nel n. 18, giganteggia nel n. 20, introspettivo e tetro, come di corale, giù giù sino all’ultimo del quale mette a punto il carattere visionario, incandescente e profetico per l’appunto.

Gli applausi fioccano protratti e tutti hanno compreso di trovarsi dinanzi a un talento naturale di notevole spessore, soprattutto per le qualità musicali e la naturalezza, ma anche l’interiorità con cui suona: specie se paragonata, merita ribadirlo, con le frivole e superficiali interpretazioni di tanti pianisti che oggi vincono i concorsi puntando solo sul virtuosismo atletico e abbacinante, senza una vera sostanza; qui al contrario la sostanza musicale c’è e negli anni la maturazione e l’evoluzione non potranno che essere di segno positivo.

La Mun si conferma una pianista di classe anche nel primo fuori programma, la Barcarola op. 60 che un giorno, forse, suonerà con qualche abbandono in più e con maggior eccitazione e soprattutto più attenzione ai sublimi collegamenti enarmonici… ma sono disquisizioni tecniche ed annotazioni fin troppo ipercritiche. In chiusura di serata regala un secondo bis, e si tratta di Widmung di Schumann nella iridescente trascrizione lisztiana.

Tags: Chloe MunChopinLingotto di Torino
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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