Il direttore e controtenore belga alla testa dell’Akademie für Alte Musik Berlin e del Rias Kammerchor in Conservatorio
di Bianca De Mario foto © Andrea Marinello
Fa un certo effetto ascoltare a settembre una Passione di Cristo, anzi due (e a distanza di un giorno l’una dall’altra). Ma la combinazione che MiTo propone quest’anno è un autentico gioiello, forse uno dei momenti più attesi dell’intero programma. A cimentarsi nei due capolavori di Bach, la Johannes e la Matthaus Passion, è infatti nientemeno che René Jacobs, alla testa dell’Akademie für Alte Musik Berlin, alias Akamus, e del RIAS Kammerchor. L’incantevole binomio bachiano si apre con la Passione secondo Giovanni (a Milano sabato 19 e Torino domenica 20), che l’orchestra aveva eseguito per la prima volta la scorsa primavera a Cracovia, Berlino e Parigi.
Composta per Lipsia nel 1724, ma con un’antecedente che risalirebbe al 1717, la Giovanni è più breve e cristallina della ‘sorella maggiore’. Saltando il blocco iniziale che riguarda l’Unzione di Betania, il Tradimento di Giuda e l’Ultima cena, un Coro ci introduce direttamente all’Orto degli Ulivi.
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Inizia in pianissimo il tappeto orchestrale di Jacobs, forse per dare maggior rilievo al Coro, «Herr, unser Herrscher» («Signore, nostro Sovrano»). Sorprende positivamente, per resa acustica e funzionalità drammatica, la disposizione adottata dal maestro che tiene l’orchestra in semicerchio alla propria sinistra, mentre divide il coro in due parti, i ‘Giudei’ a destra su due file, e il resto del coro (in aggiunta per i corali) su un’unica fila dietro tutti, entrambe le sezioni con le voci femminili al centro e quelle maschili alle estremità. L’Evangelista e Cristo sono gli unici solisti che si distinguono, davanti al direttore, rispettivamente in primo e secondo piano, mentre gli altri sono uniti al ‘coro dei Giudei’.
La Prima parte, che narra della cattura di Cristo e del rinnegamento di Pietro, scorre in un crescendo solo accennato, in cui spiccano alcuni momenti di intenso lirismo. Il mezzosoprano Sophie Harmsen ha un bel timbro ma troppo ridotto il volume, soprattutto in «Von den Stricken meiner Sünden» («Per liberarmi dai lacci»), l’aria con oboi (Xenia Löffler e Michael Bosch) sul bellissimo continuo realizzato con liuto (Shizuko Noiri) e viola da gamba (Juan Manuel Quintana). Elegante il soprano, Sunhae Im, che dà prova di sé nell’«Ich folge dir gleichfalls», con i traversieri (Gergely Bodoky e Andrea Theinert).
Di maggiore intensità è, come prevedibile, la Seconda parte, in cui si susseguono cattura e processo, crocifissione e morte, sepoltura e resurrezione. Prova non sempre semplice per l’Evangelista, Werner Güra, e per Gesù, Arttu Kataja, i cui Recitativi toccano una certa difficoltà interpretativa. Il basso, Konstantin Wolff, e il tenore Sebastian Kohlepp, sanno regalare momenti di grande commozione, anche se, a ben vedere nessuno in particolare si mette in luce tra i solisti. Non è forse un caso: il vero protagonista di questa Passione e della direzione di Jacobs – tanto misurata da sembrare fin troppo pacata – è di fatto il ‘coro dei Giudei’, così deciso e convincente nella sua ferocia, da destare disprezzo e repulsione. Catartica giunge allora la resurrezione e quel finale consolatorio, «Ach Herr, laß dein lieb Engelein» («Ah, Signore, fa che i tuoi angioletti») che mancherà invece nella Matthaus.
Il pubblico del Conservatorio di Milano – numeroso sì, ma meno di quanto ci si aspettasse – fa sentire tutta la sua approvazione, tanto da interrompere quel silenzio che Jacobs sta ancora lasciando risuonare nel suo ultimo gesto. Grande è dunque l’attesa per la Matteo (21 a Milano, 22 a Torino): a riprova del fatto che a Bach si addica perfettamente persino l’equinozio d’autunno.
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