di Ida Zicari
Al suo esordio a Napoli, nel maggio del 1808, Louis Henry era stato presentato dal «Monitore Napolitano» come «uno dei professori di primo ordine di Francia». Per le scene del Teatro San Carlo, aveva composto il ballo pantomimo Otello o sia Il Moro di Venezia, su musica del nobile austriaco Wenzel Robert Gallenberg. E il debutto napoletano del ballerino e coreografo francese si trovò a coincidere con l’inizio di quel nuovo e vigoroso capitolo nella storia cultura teatrale partenopea, il decennio murattiano, che si avviò con l’incoronazione di Gioacchino Murat a Re delle Due Sicilie e con l’ingaggio di Domenico Barbaja a impresario teatrale.
Ma la danza a Napoli era stata tenuta in alta considerazione già dai tempi di Carlo di Borbone, che, discendente del Luigi XIV fondatore nel 1661 dell’Académie royale de danse, aveva fatto erigere il Teatro San Carlo nel 1737, consacrandolo all’opera seria e ai balli, e assegnando a questi ultimi un importante ruolo rappresentativo. Al suo arrivo a Napoli, Louis Henry, allora, veniva accolto in un palcoscenico reale che si legava, per pratiche e presenze artistiche, ai teatri internazionali di Torino, Venezia, Milano, Vienna, Parigi, e vantava coreografi del calibro di Pietro Angiolini e Gaetano Gioia. Annamaria Corea ha di recente indagato l’attività coreografica svolta nel decennio murattiano, pubblicandone gli esiti nel volume monografico intitolato Louis Henry e il balletto a Napoli in età napoleonica confluito nella Collana di studi e ricerche sulla danza, Chorégraphie, edita da LIM. Si tratta di un approfondito studio che si dipana sul doppio livello metodologico, elencativo e descrittivo, mettendo ordine a una moltitudine di fonti primarie interrogate tra libretti di ballo, contributi critici contenuti all’interno dei principali periodici e documenti dell’Archivio di Stato di Napoli. Ciò che si compone è una fitta rete a maglie strette nel cui intreccio prendono posto la figura di Louis Henry e il suo operato artistico, per rimbalzi, ritorni circolari, infine per centratura. A chiari connotati, si definisce il quadro di una capitale che con i suoi due teatri reali attivi (il Real Teatro del Fondo si era aperto al ballo nel 1810) risulta perfettamente allineata alle tendenze coreografiche europee, centro propulsore di una produzione artistica portatrice delle istanze culturali più nuove e notevolmente vitale per quantità di titoli e generi trattati. E Louis Henry, coreografo e ballerino di temperamento intraprendente, particolarmente prolifico e versatile, appare ora vettore al processo di francesizzazione, in quel momento di passaggio e, nel contempo, di convivenza, tra Neoclassicismo e Preromanticismo: artista influente nell’importazione di balletti francesi, promotore nelle sue creazioni degli innesti parigini sul gusto coreografico italiano, didatticamente determinante, infine, per il contributo all’istituzione della Real Scuola di Ballo fondata a Napoli nel 1812 e annessa al Teatro San Carlo.