di Ida Zicari
Nell’ambito delle ricerche dedicate all’identificazione di una linea italiana della danza novecentesca, ovvero di un idioma coreutico nazionale riconoscibile in modo unitario e continuativo, si colloca la pubblicazione di Giulia Taddeo, Festivaliana. Festival, culture e politiche di danza al tempo del “miracolo italiano”, per I libri di Emil. I festival a cui si riferisce il titolo sono i due illustri appuntamenti del Festival Internazionale del Balletto di Nervi e del Festival dei Due Mondi di Spoleto, osservati durante l’arco temporale che va dal 1955 al 1963.
La trattazione, quindi, si apre con l’anno della fondazione del festival di Nervi e si conclude in coincidenza dell’esaurirsi della fase del miracolo economico individuata, secondo una categorizzazione storiografica ufficialmente condivisa, nell’anno 1963. Attraverso la rilettura delle fonti, interne ai festival, come materiali promozionali, programmi di sala, documenti amministrativi, ed esterne, come interventi critici sulla stampa, reportage video e fotografici, la Taddeo guarda gli eventi di Nervi e Spoleto da una prospettiva culturale e politica sovranazionale, prediligendo l’analisi del fenomeno danza in tutta la complessità del suo essere il risultato di una particolare società generatrice. Se con Mario Porcile il festival di Nervi si fondò sull’obiettivo di riabilitare il balletto italiano, accogliendo l’elemento straniero per sancire, con il contrassegno di aristocraticità e mondanità, la superiorità della scuola italiana e l’urgenza di un recupero artistico sul piano produttivo, istituzionale e sociale, il festival di Spoleto, invece, con Gian Carlo Menotti, acquisì programmaticamente le ingerenze economiche e politiche statunitensi e, intercettandone i finanziamenti, si legò a quella propaganda che aveva con la rete Usia (nota in Europa come Usis) centri disseminati su tutto il territorio europeo. L’autrice dimostra, allora, come la tradizione novecentesca del balletto inglese e francese, dominante gli indirizzi organizzativi della manifestazione ligure, e la coeva danza americana nelle sue declinazioni del modern e del neoclassico astratto, dominante invece quelli umbri, si siano fatte veicolo di ideologie contrapposte, intrecciandosi in una rete internazionale di confronti culturali e incardinandosi sulle immagini antagoniste di una Europa patria della cultura e di una America tecnocratica ma intellettualmente involuta. Al centro del quadro circostanziato della Taddeo, le esperienze di Nervi e Spoleto, pur continuando a rappresentare quel noto capitolo di indubbia espansione artistica italiana, ci rivelano ora quel germe di crisi da cui, tra l’altro, scaturì il poco felice bilancio del ’63. Festivaliana aggiunge, allora, un altro utile tassello all’indagine delle determinazioni sociopolitiche e culturali su cui poggia quello sviluppo per discontinuità della danza colta italiana, responsabile peraltro della mancata definizione di un’identità nazionale novecentesca.