Ecco perché l’anniversario di Sibelius in Germania non è stata una semplice ricorrenza. Due iniziative editoriali di “segno opposto” affrontano la vita e l’opera del compositore: più reazionaria la pubblicazione in lingua tedesca di Tarnow, progressista il ciclo di concerti e la registrazione integrale delle sinfonie da parte dei Berliner Philharmoniker diretti da Sir Simon Rattle
IL centocinquantesimo anniversario dalla nascita di Jean Sibelius appena trascorso è stata l’occasione per “festeggiare” il compositore in modi diversi. In Germania, per esempio, nel corso del 2015 Sir Simon Rattle aveva diretto i Berliner Philharmoniker nel Sibelius-Zyklus, Ciclo-Sibelius, che prevedeva l’esecuzione di tutte e sette le sinfonie, raccolte ora in una edizione discografica di pregio della quale daremo conto nel corso di questa recensione. Sul versante bibliografico fa discutere una recente uscita della casa editrice Henschel Bärenreiter, che ha recentemente dato alle stampe una biografia (al momento non esiste una traduzione italiana) scritta dal critico e giornalista musicale Volker Tarnow. Il volume, Sibelius. Biografie, organizzato secondo la struttura evergreen dell’ordine cronologico, è una lettura scorrevole e approfondita che non ha pretese musicologiche. La biografia di Sibelius viene divisa in nove capitoli per un totale di 288 pagine quasi del tutto prive di immagini fotografiche, nelle quali vengono raccontati i fatti, l’attività compositiva, gli avvenimenti, gli incontri, che hanno costellato la vita del compositore.
Tarnow è un appassionato conoscitore di Sibelius, nel suo testo descrive le opere e i luoghi più significativi al compositore con precisione e capacità letteraria, e ne traccia anche un profilo psicologico e umano. Sibelius ne esce come un essere solitario, poco propenso alla compagnia e alla comunicazione, con una forma di dipendenza dall’alcool, attento e sensibile alla musica dei suoi contemporanei. Tarnow si lascia forse trasportare dalla sua passione per Sibelius da risultare a volte un po’ superficiale nelle spiegazioni, come farebbe semplicemente un grande fan. Egli sottolinea ripetutamente, per esempio, come Sibelius sia riuscito a riassumere nel suo linguaggio musicale elementi tipici della musica del nord, al punto da diventare pioniere di uno “Stile finlandese”, del quale però manca una definizione precisa in termini musicali.
Al di là del volume in sè, ciò che è degno di menzione è che in Germania – come ricorda anche Andreas Göbel, giornalista dell’importante emittente tedesca Kulturradio – fino a pochi anni fa non sarebbe stato facile trovare in commercio una biografia di Sibelius in lingua tedesca. Tant’è che l’unico studio significativo negli ultimi quarant’anni anni è ritenuto essere il volume di Tomi Mäkelä, Jean Sibelius. Poesie in der Luft, pubblicato successivamente anche in inglese, ma edito nel 2007 in occasione del cinquantenario della morte del compositore, avvenuta ad Ainola, vicino Helsinki. In molti concordano sul fatto che dopo quella importante uscita bibliografica non ce ne siano state altre degne di nota.
Nel volume di Tarnow, nonostante l’accuratezza delle ricerche condotte, ci sono però dei punti cruciali della vita di Sibelius che non vengono – con sorpresa – nemmeno citati. Alla grande domanda sulla simpatìa vera o presunta del compositore nei confronti del Nazismo, per esempio, non viene data risposta. Questione che è, in parte, il fondamento del “problema” tra la Germania e Sibelius. Nel 1935, per il suo settantesimo compleanno, Sibelius ricevette molti riconoscimenti per la sua attività compositiva da parte di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e anche dalla Germania. Fu Hitler in persona a predisporre l’invio della Goethe Medaille für Kunst und Wissenschaft, un riconoscimento destinato solo a personaggi di rilievo. E Sibelius nel rifiutarla non sarebbe stato di certo né il primo né l’ultimo.
Altra grande – e grave – mancanza sono le vicende legate a due nomi importanti, quello di Theodor Wiesegrund Adorno e quello di René Leibowitz, che nelle pagine di Volker non trovano spazio. Come non citare che Adorno nel 1938 all’interno della Zeitschrift für Sozialforschung pubblicò un articolo dal titolo Glosse über Sibelius, nel quale giudicava il compositore un imbratta fogli? Il testo adorniano era di fatto una (dura) risposta a un altro articolo degli stessi anni, Sibelius: A Close Up di Bengt von Törne, dove il compositore nonché amico stretto di Sibelius ne dichiarava la schiacciante superiorità rispetto a tanti altri, perfino rispetto a Mahler e a Schönberg. E come non riferire che Leibowitz nel 1955 lo definì il “peggiore compositore del mondo” (anche se sembrerebbe che la polemica con Leibowitz, come afferma lo studioso Tomi Mäkelä, fu “provocata” da chi definiva Sibelius il miglior compositore nel mondo) ? Sibelius era a conoscenza del fatto di non essere visto di buon occhio da molti musicologi e studiosi tedeschi, tanto che nel 1930 durante un’intervista al giornalista americano Carleton Smith affermò: «Sì, io amo molto la Germania, solo i tedeschi non amano Sibelius».
Forse Sibelius, se oggi fosse stato vivo, avrebbe dovuto ricredersi almeno su quest’ultima affermazione, sdoganata da tante attività in suo nome, tra le quali citiamo una importante iniziativa concertistico-editoriale. Infatti i Berliner Philharmoniker hanno dedicato lo scorso anno al compositore un ciclo di concerti con l’esecuzione l’integrale delle Sinfonie dirette da Sir Simon Rattle. I concerti sono ora raccolti e pubblicati in un prezioso box (che tra l’altro comprende anche due blue-ray audio e video ed un codice omaggio per la Digital Concert Hall) inserito nella collana delle loro nuove edizioni. Questa pubblicazione ci pare voglia riaffermare un legame, ricreare un ponte di significati, tra la presenza del Sibelius sinfonico che l’orchestra tedesca ha in repertorio dal 1905 (quando interpretò la Seconda Sinfonia) fino alle esecuzioni attuali.
Scorrendo i ricchi apparati testuali che corredano le registrazioni (comprensivi di due interessanti saggi di Glenda Dawn Goss e del già citato Tomi Mäkelä) possiamo infatti scorgere anche le date delle prime esecuzioni (naturalmente non le prime assolute) dei Berliner: ad esempio la Quinta venne da loro eseguita nel 1921, la Sesta nel ’38, la Settima nel ’35, la Prima nel ’20. Questi riteniamo non siano dei semplici dettagli di cronaca ma indicati come testimonianze di una vicinanza e riconoscimento culturale che dura ormai da più di cento anni, una sorta di linea di continuità tra passato e presente.
È forse questa continuità a restituire delle interpretazioni di spessore. Rattle sottolinea ogni gesto compositivo e tutto suona chiaro, limpido. Colpisce di queste interpretazioni la maestrìa degli equilibri sonori che scongiurano la presenza di una retorica interpretativa che in passato è stata spesso fonte di ambiguità. Sinfonia dopo sinfonia l’ascoltatore ha modo di addentrarsi in questo universo sonoro così ricco e variegato. E poi c’è tutta la magìa dei Berliner, la loro intonazione, il loro suono speciale ripreso alla Philharmonie, lì proprio dove anche uno spillo, cadendo, fa quasi rumore.