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Ferruccio Busoni, un breve ritratto

di Maria Cristina Riffero
14 Dicembre 2016
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di Maria Cristina Riffero


Racchiudere in un breve articolo la molteplicità degli aspetti della vita di Ferruccio Busoni, nato ad Empoli il 1°Aprile 1866, di certo non è cosa facile. Il musicista racchiude in sé le sfaccettature caratteriali dei personaggi dei drammi e dei racconti del quasi a lui coetaneo letterato Luigi Pirandello. Ferruccio Busoni è un “uno” dai “centomila” aspetti e “nessuno” se si guarda la scarsa conoscenza verso la sua musica, specie da parte del pubblico italiano, fin dall’epoca in cui egli era in vita. Dall’Italia iniziò ad allontanarsi fin dalla fanciullezza.

Dalla natìa Toscana si trasferirà a Trieste, città natale della madre, all’epoca sotto l’impero asburgico e da qui andò in Austria, come pianista fanciullo prodigio e poi per studiare e approfondire le sue conoscenze di musica ed al tempo stesso per recensire gli spettacoli teatrali operistici che si svolgevano nei teatri austriaci, specialmente a Vienna, per conto dei quotidiani di Trieste. Fu così che il giovane, per sua stessa ammissione, iniziò a scrivere ed a parlare in tedesco, pur continuando a sognare in italiano. In realtà, a circa 17 anni, avrebbe voluto esordire nel teatro d’opera con un libretto in lingua italiana, tratto dal dramma danese La figlia del Re Renato, prima che questa storia diventasse la Iolanta di Cajkovskij ma, il poeta triestino che gli aveva preparato il libretto, in vista di un concorso indetto dall’Opera di Vienna, non era all’altezza delle aspettative del giovane musicista e la composizione non andò in porto. Questo episodio gli permise però di aggiungere una nuova faccia alla sua poliedricità. Oltre che essere diventato uno dei massimi pianisti di tutti i tempi, compositore, teorico e critico musicale, decise di fare anche il librettista delle sue opere. Solo così infatti, diceva, non ci sarebbero stati dei problemi nel portare a termine il lavoro compositivo. I libretti delle sue quattro opere furono però tutti scritti in tedesco. La prima di queste, La sposa sorteggiata del 1912, cercò di farla tradurre per una possibile rappresentazione italianada Arrigo Boito, che lo aveva sostenuto nei suoi esordi musicali, ma nulla andò in porto.

Cercò poi di avviare un sodalizio con D’Annunzio, in quello stesso periodo, per creare un’opera che avesse per soggetto o Leonardo da Vinci o Dante Alighieri ma anche in questo caso dovette rinunciare a mettere in scena le figure dei due grandi toscani. Se il Leonhard, protagonista della Sposa sorteggiata, è un artista plastico e protettore di artista figurativo, è però vero che, nel creare il personaggio, Busoni pensava alla figura del maturo Franz Liszt e, quindi, lo vedeva come omaggio ad un altro grande pianista e non un rimando ad un genio dell’arte figurativa come Leonardo da Vinci. A Trieste, da ragazzo, Busoni era stato affascinato dal teatro di marionette e tale tipo di rappresentazione popolare, unitamente al mondo delle fiabe, sarà la base delle sue tre opere successive. Arlecchino, che ha nel protagonista un attore, non un cantante, ed il primo interprete del ruolo fu il grande artista triestino Alessandro Moissi, è ed opera gemella di Turandot. Quest’ultima, derivata dalla fiaba di Gozzi, a differenza dell’omonima opera di Puccini, che le sarà successiva, ha un finale lieto per tutti i personaggi. Questo è caratteristico della poetica di Busoni che, diceva, solo il mondo della fantasia poteva essere cantato, la cruda realtà dei sentimenti e della vita di ogni giorno non può essere espressa con il canto. Ciò lo allontanava dalla poetica del Verismo, allora dominante e dal pubblico apprezzata e lo portava nel mondo fantastico, a finale con visione positiva, della fiaba, nel gusto dell’amato Flauto magico di Mozart.

Al mondo magico-fiabesco del Faust, che vede le sue radici prima di Goethe, nel teatro medioevale tedesco e nelle rappresentazioni per marionette e nella tradizione inglese di Marlowe, si ispira anche la sua ultima creazione per le scene il Dottor Faust, suo testamento umano e spirituale, rimasto incompiuto al sopraggiungere della morte nel 1924. Busoni nelle sue creazioni è il musicista che guarda ai maestri del passato, specie a Mozart ma anche a Carissimi, ispirandosi ad un passo dell’oratorio di questi, Jefte, per la sua Sposa sorteggiata. Inoltre ama ascoltare musica e opere suonate da orchestre non di prima grandezza perché diceva che da queste si impara molto e si trova ispirazione. Intanto nelle sue realizzazioni musicali preparava situazioni, anche sceniche, che confluiranno nell’arte dei grandi maestri del Novecento, tra cui Alban Berg.

Ferruccio Busoni è però anche attento all’allestimento scenico visivo delle sue opere, è lui stesso pittore dilettante ed è un collezionista di buon gusto. All’epoca di Arlecchino e Turandot, siamo nel 1917, in piena Prima guerra mondiale, vive a Zurigo. La città è da poco animata dal gruppo dei Dadaisti, che amano e creano marionette e burattini per spettacoli teatrali. Busoni però è diventato amico e collezionista di Umberto Boccioni, pur non amando le ideologie dei futuristi, ha acquistato La città che sale e poi Il lutto.

Inoltre il pittore ha fatto i ritratti al musicista e a sua moglie nella “parentesi luminosa”, rara per essersi svolta in Italia, del Giugno 1916, a Pallanza, dove Busoni si era recato per studiare un manoscritto di Liszt, a casa di un nobile, comune amico di entrambi. Da qui deriva il Busoni amico che vuole sia detta la verità sui suoi amici. Quando, due mesi dopo, Boccioni morirà per una caduta da cavallo, mentre era in caserma a Verona, e tutti i giornali esaltavano il patriottismo dell’artista, che aveva fortemente voluto l’interventismo nella guerra, Busoni scrisse, al Corriere della Sera, che forse questa era stata l’idea di Boccioni sull’incipit del conflitto, di certo non lo era più in quell’estate del 1916 in cui stava prendendo le distanze da Marinetti e vedeva in questa guerra un inutile massacro.

Tale articolo alienò al Maestro ancora di più le simpatie italiane e, visto che si era andato a stabilire a Berlino, sull’inizio del Novecento, i giornali italiani, con rimbalzo dalle cronache della neutrale Svizzera che lo ospitava, iniziarono ad accusarlo, ingiustamente, di tenere dei concerti a favore dell’esercito tedesco. Busoni è anche l’articolista leale, oltre che con gli amici, anche con gli estranei. In un suo articolo, che fece distribuire in occasione della ripresa della sua Turandot a Berlino, ricordava al pubblico che non si devono osannare solo musicisti e cantanti ma che, dietro le quinte, si trova tutta una massa di lavoratori tecnico/pratici che permettono la buona riuscita dell’andata in scena dello spettacolo e a loro, lui, come autore, volgeva la sua gratitudine ed invitava anche il pubblico a fare altrettanto.

Amico coerente e attivo collaboratore degli amici e sodali, Busoni fu anche un eccellente e non dimenticato didatta. Tra tutti ricordiamo un allievo che ebbe un’ammirazione sconfinata per il Maestro, Edgar Varese. Anche lui, trascorsi i primi vent’anni di vita in Italia, fu in fuga, senza più ritorno, dalla patria paterna. In lui Busoni aveva visto il nucleo della musica del futuro e lo aveva salutato come giovane geniale Maestro allorché, al suggerimento di una correzione, Varese, convinto della sua idea compositiva, si era rifiutato di fare modifiche alla sua creazione. Busoni, Maestro che apprezzava la genialità originale degli allievi, disse a Varese: «Ora possiamo darci del tu e smetti di chiamarmi Maestro». Aveva così riconosciuto che potevano parlare alla pari. Fu suo allievo anche Kurt Weill e in Finlandia Jean Sibelius.

Nel suo salotto di Berlino, con sfondo La città che sale, alla presenza degli allievi, Edgar Varese incluso, ci fu la prima esecuzione del Pierrot lunaire di Schönberg. Inoltre sosteneva i giovani musicisti e, a Berlino, aveva organizzato una serie di concerti per proporre al pubblico musica contemporanea. Uomo bellissimo, elegantissimo e dall’incredibile fascino fu fonte di ispirazione per gli scrittori che lo conobbero. E così, sia Stefan Zweig ne Il mondo di ieri, che Elias Canetti ne La lingua salvata, lo descrivono nel periodo di Zurigo, negli anni della Prima guerra mondiale e ci danno di lui il ritratto di un uomo che sentiva profondo il dolore di questa guerra, che opponeva le sue due patrie, l’Italia natale e la Germania di elezione.

Ed in un volume di pochi anni or sono firmato da Marella Caracciolo, intitolato appunto Una parentesi luminosa, si parla del fecondo periodo trascorso da Busoni e Boccioni sul Lago Maggiore da cui nacque il celebre ritratto del Maestro, ora conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Busoni era anche affascinato dal cinema, diceva che questo poteva ispirare soggetti per delle opere.

Aveva visto un film, in Inghilterra, sull’Inferno di Dante e da qui aveva pensato a Dante come soggetto di un melodramma non andato in porto. Busoni era il viaggiatore, per la sua attività di concertista, che coglieva però anche gli influssi culturali dei luoghi che visitava. Gli stili melodici degli Indiani d’America, ad esempio, confluiti nella Fantasia Indiana. E, al di là della musica, si interessò e studiò le filosofie orientali, in special modo il Buddismo. Ferruccio Busoni era talmente poliedrico che aveva difficoltà ad essere capito dal pubblico suo contemporaneo, come autore e teorico, se non da spiriti a lui affini. Come esecutore al pianoforte era invece osannato in modo unanime ovunque si esibisse. Del resto diceva lui stesso:«È difficile concentrarsi sul futuro in un paese che deve ancora raggiungere il presente».

Aveva, con la sua figura e la sua arte, messo le basi di un futuro dell’essere musicisti e uomini di cultura a 360°, per essere capito in un presente che è quello in cui noi viviamo e che lo deve rivalutare e riconsiderare perché non vada smarrito il sogno del suo Dottor Faust: «Costruite! Ma non accontentatevi di esperimenti fatui, né della gloria di un breve e facile successo di stagione. Dedicatevi invece con serietà e con gioia al perfezionamento dell’opera vostra, perché solo chi guarda innanzi ha lo sguardo lieto».

Tags: Ferruccio Busoni
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Maria Cristina Riffero

Maria Cristina Riffero

Maria-Cristina Riffero ingegnere, laureata al Politecnico di Torino, dal 2003 come ricercatrice si occupa di scenotecnica teatrale. Come borsista della Fondazione Burzio della Stampa ha svolto uno studio, confluito in una pubblicazione on-line e in una serie di conferenze, sul tema L’evoluzione scenotecnica del Teatro Regio di Torino dalle origini ad oggi. Ha studiato le implicazioni tecnologiche presenti nel Ballo Excelsior di Romualdo Marenco e come il mondo scientifico torinese e la figura di Galileo Ferraris abbia influenzato la musica di Alfredo Casella, di quest’ultimo autore ha approfondito nascita e modalità di allestimento scenico dell’opera La donna serpente. Dopo uno studio su Giuseppe Giacosa, librettista e restauratore di castelli medioevali tra Piemonte e Valle d’Aosta, e su Davide Calandra, scultore scenografo, attualmente si occupa della ricostruzione scenotecnica del Nerone di Arrigo Boito e del Nerone di Pietro Mascagni, analizzando gli allestimenti di questi due spettacoli nei teatri italiani e studiando le fonti originali relative alla nascita del Nerone di Boito attraverso i documenti dell’Archivio del Conservatorio Arrigo Boito di Parma, su tale argomento ha già tenuto tre conferenze, con relative piccole pubblicazioni, ed un intervento sul Nerone di Boito ai Colloqui del Saggiatore Musicale di Bologna nel Novembre 2014, il cui abstract è stato pubblicato on-line sul sito del Saggiatore. Ed è nell’approfondire il tema Nerone che è iniziato lo studio della causa giuridica relativa al diritto d’autore per le scene del Nerone di Pietro Mascagni, ora in corso d’opera sui documenti di archivio dei Tribunali di Napoli e di Milano e della Corte di Cassazione di Roma. Ultimamente si sta occupando degli allestimenti scenici delle opere di Ferruccio Busoni e nel Maggio 2015 ha presentato uno studio relativo alla Turandot del musicista empolese. Ha sviluppato ulteriori studi e ricerche, tradottesi in conferenze, su Alfredo Casella con particolare riferimento ai personaggi di Arlecchino ed Orfeo confrontati con le analoghe figure nelle composizioni di Ferruccio Busoni e di Gianfrancesco Malipiero e in occasione del Festival Alfredo Casella ha trattato il tema della sua opera più rara, Il deserto tentato confrontandolo con Désert del coetaneo Edgar Varese. Per i centocinquant’anni dalla nascita di Ferruccio Busoni ha partecipato nel Marzo 2016 al convegno tenutosi ad Empoli, città natale del musicista, trattando il tema di Arlecchino in un saggio dal titolo Le metamorfosi di Arlecchino. Esempi attraverso le creazioni di alcuni musicisti italiani nel primo Novecento, ora in corso di pubblicazione negli atti del convegno.

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