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L’opera di Verdi arriva a Venezia (in scena fino all’11 dicembre) dopo il debutto a Parma nel 2010. Mutuate scene, allestimenti e regia, nuovo il cast
di Elena Filini
LA VENDETTA È DONNA. Come la luna, che con ritmo inarrestabile proietta la sua falce sulla terra. È con progressivi tagli di luna, alla fine intera imporporata di sague, sulle pendici di un mondo acre, sassoso, di una landa che è già un deserto che va in scena questa vicenda al femminile, dove la vendetta scandisce la sorte di donne destinate a partorire figli e a vederli inutilmente morire. L’appéal delle scene di William Orlandi, un piano inclinato con pochi elementi, illuminati dal bel gioco di luci di Christian Pinaud è, insieme alla concertazione trasparente e dimensionata di Riccardo Frizza, la nota positiva di questo Trovatore veneziano in scena fino all’11 dicembre ed in coproduzione con il Teatro Regio di Parma.
La seconda compagnia ascoltata martedì 6 dicembre, annovera Stuart Neill nel titolo del ruolo. Un interprete che oggi è molto richiesto per Manrico, debuttato a Stoccolma due anni fa, complice la straordinaria facilità con la quale risolve la cabaletta “Di quella pira”, con si naturale relativo, tenuto con comodità ben oltre i limiti prestabiliti dalla musica (e che anche qui gli è valso un prolungato applauso). La sensazione è comunque che Neill, Pira e acutissimi a parte, sia in intermittente sintonia con il Trovatore verdiano. Monolitico scenicamente, incurante della parola verdiana, ha un approccio al personaggio che è eufemistico definire generico. Potenzialmente più vicino al ruolo è sembrato Vitaly Bilyy per il conte di Luna. Tuttavia un’emissione costantemente ingolata (evidente soprattutto nella prima ottava) ha tolto fascino e magia ai cantabili, a procedere dal giustamente atteso”Il balen del suo sorriso”.
Anna Maria Chiuri mette un gran temperamento a beneficio del ruolo di Azucena: tuttavia solleva una certa perplessità l’oscillazione degli acuti e soprattutto il continuo affondo nelle note di petto, anche in tessiture al limite. La musicalità, l’aderenza al personaggio e la struggente dolcezza con cui ha cantato il duetto finale “ai nostri monti” rendono tuttavia la sua prova comunque interessante e farebbero desiderare di ascoltarla in repertori meno stentorei. Kristin Lewis è un’affascinante Leonora, che gioca le sue carte, essenzialmente liriche, con grande dominio tecnico. E’ al momento una vocalità troppo leggera per questo ruolo, ma fa molto bene ciò che fa e soprattutto è attenta ad amministrarsi (forse qualche esagerazione nell’uso dei filati e delle mezzevoci). Convincente, ben timbrato e musicalmente efficace il Ferrando di Ugo Guagliardo; buona la prova di Cosimo d’Adamo nel ruolo di Ruiz mentre molto problematica la Ines di Anna Maria Braconi e corretti Enzo Borghetti e Giovanni Deriu per un vecchio zingaro e il messo. Compatta e reattiva l’orchestra del Teatro la Fenice e davvero brillante il coro istruito da Marino Moretti, soprattutto la parte maschile. La regia di Lorenzo Mariani, ultratradizionale, coglie qua e là dei momenti di involontario umorismo (in alcune scene corali ad esempio, con “Chi del gitano..” con il calice alzato e abbracciati con effetto ola). Per il resto è una specie di cornice, che tuttavia non illumina di particolare garbo la straordinaria partitura verdiana.
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