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L’opera di Steve Reich per percussioni, tre voci femminili e ottavino ha inaugurato il 2 luglio scorso la stagione estiva del Conservatorio di Palermo
di Monika Prusak
Quando si esegue o si ascolta un processo musicale graduale si partecipa a una specie particolare di rito liberatorio e impersonale. Concentrarsi sul processo musicale consente di trasferire l’attenzione dal lui, dal lei, dal tu e dall’io verso l’esterno: sull’esso. Steve Reich
I l defasaggio graduale di cellule ritmiche, il battito che si propaga cambiando l’espressione da una figurazione all’altra, ma allo stesso rimane parte di un unico organismo: questa è l’essenza del Drumming (1970-71) per percussioni, tre voci femminili e ottavino. La composizione di Steve Reich ha inaugurato il 2 luglio scorso la stagione estiva del Conservatorio “Bellini” di Palermo, che si svolgerà nel suggestivo atrio dell’istituto. Nel brano, la cui durata può variare da 55 a 86 minuti, il compositore americano mette in scena uno “studio” sulla musica africana, frutto della sua esperienza ghanese con il maestro dell’antica arte di suonare il tamburo, Gideon Alorwoye. Ma non di soli tamburi si tratta. Accanto alle quattro paia di bongo intonati e percossi con le bacchette, vi sono tre marimbe, tre voci femminili, tre glockenspiel, un fischio e un ottavino, che vengono suonati da un ensemble di tredici esecutori. Sul palcoscenico si sono esibiti i giovani studenti del conservatorio, coordinati da Fulvia Ricevuto e Giuseppe Cataldo, tra cui Roberta Sava e Antonella Schirò – voci, Lavinia Garlisi all’ottavino, Gaetano Gabriele Palumbo al whistle, e Sergio Calì, Cristian Cavaliere, Gabriele Fuschi, Alessio Magnanimi, Giuseppe Marino, Davide Pendino, Carmelo Prestimonaco e Gaspare Renna alle percussioni.
L’entrata del primo gruppo di musicisti è stata coreografica. I quattro, come quattro sono le paia di tamburi bongo al centro del palcoscenico, iniziano un po’ insicuri, ma non appena i ritmi diventano più densi, arriva la giusta scioltezza, le gestualità e la mimica si attivano. A tratti sembrano troppo “metronomici”, ma subito dopo, una figurazione poliritmica più complicata fa capire che è la musica a comandare, incessante e insistente, come un martello che però non infastidisce. L’aspetto della prima sezione che lascia un po’ più perplessi sono i timbri, troppo uguali, che non riescono a trasmettere quel cambiamento graduale che lo stesso compositore aveva premeditato. La seconda parte del Drumming appartiene a marimbe e voci femminili, anche le ultime trattate in maniera strumentale. Tra Roberta Sava e Antonella Schirò, che rimangono in fondo del palcoscenico, c’è un’ottima intesa, che si esprime anche nei timbri caldi e piacevoli delle voci. All’interno di questa stabile pulsazione si hanno i colori più diversi e le combinazioni più svariate di musicisti che si incontrano in due, tre e persino cinque a suonare lo stesso strumento: gli spostamenti degli esecutori avvengono fluentemente, la loro concentrazione genera sempre più attenzione nel pubblico. La più intensa variazione timbrica arriva con la terza sezione, grazie al suono stridulo e penetrante dei glockenspiel e alle curiose nuance dinamiche che esso permette. Il fischio e l’ottavino si sono inseriti inavvertitamente in questo magma ritmico-sonoro, provocando un arricchimento timbrico che ha progredito ancora nella quarta e ultima sezione. È geniale l’idea di Reich di sostituire progressivamente i battiti alle pause, dando in questo modo l’impressione di una conclusione che non arriva, poiché l’arresto del ciclo ritmico è soltanto apparente. La parte finale, che ha riunito tutto l’ensemble in un sistematico crescendo, ha concluso l’esecuzione con meritato successo. Da notare anche il sostegno del gruppo di studenti di musica elettronica, che hanno esaltato l’interpretazione con adeguata ed equilibrata amplificazione.
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