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Contrafactum Stessa musica, altre le parole
Pillole di Storia della musica/3 a cura di Laura Bigi
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La festa del Carnevale sintetizza dietro una maschera piacere e licenza erotica: un canto carnascialesco, il Canto de’ cardoni, ci guiderà alla scoperta della giocosa sessualità quattrocentesca in musica
di Matteo Mainardi
L ‘Umanesimo chiude il Medioevo e riporta al centro dell’Universo l’Uomo. In primis il Genio, che con la sua cultura e il suo acume controlla e plasma la Natura secondo la propria volontà. Ecco quindi la cupola del Brunelleschi, gli affreschi di Masaccio e Lorenzo il Magnifico; ma un altro aspetto naturale acquista sempre maggior preminenza: il piacere, soprattutto quello sessuale. La festa del Carnevale sintetizza dietro una maschera piacere e licenza erotica: appunto un canto carnascialesco, il Canto de’ cardoni, ci guiderà alla scoperta della giocosa sessualità quattrocentesca.
Il soggetto di questa ballata è il cardone, la Cynara cardunculus, ortaggio lungo e ricurvo dal facile parallelismo fallico. La ballata si immagina cantata alle donne da “maestri di cardoni” dotati di ortaggi “grossi et buoni”, ovviamente. Subito la dimensione incute timore nelle fanciulle, se i maestri si lamentano di come sia “oggidì la cosa stretta” (se non capite l’allusione, preoccupatevi). Non manca poi un riferimento eiaculatorio, nel “gittar forte il seme per l’asciutto”; si passa quindi alla lezione pratica e a parlare della necessità di “coprirlo e ritto ritto sotterrarlo”, il che ci fa comprendere come il profilattico non sia stata un’invenzione dell’industria farmaceutica moderna. Leziosa la precisazione che “ècci qualcun che lo pianta bocconi”, sia per il riferimento alla pratica amatoria “alla moda delle cavalle partiche” di boccacciana memoria, sia per il fatto che “qualcun” è invariabile e quindi si parla sia di amore etero che omosessuale. Non manca quindi un appunto di machismo quando si vanta la misura del cardone in “un palmo, o poco più” (30 cm.) e si sottolinea la predilezione per pratiche di fellatio, in quanto “a noi piaccion sempre e’ gran bocconi”. Che sia un piacere lo sottolinea la volta conclusiva. Ma il sesso senza fantasia, “il cardon senza sale”, è come “far col marito il carnovale”: che gusto c’è? Quello che prova una fanciulla maliziosa alla Via Crucis…
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Noi siàm, donne, maestri di cardoni,
che ne’ nostri orti si fan grossi et buoni.
Se ‘l far, donne, questa arte vi diletta,
benché va di oggidì la cosa stretta,
no’ vi darén questa nostra ricetta
che non habbiàn da farvi maggior doni.
Il modo a culturar un cotal frutto
È gittar forte il seme per l’asciutto,
ché quando e’ piove, o il seme va mal tutto,
o produce scrignuti e stran cardoni.
Bisogna prima d’intorno sarchiarlo,
pigliar le foglie in man et poi legarlo,
coprirlo e ritto ritto sotterrarlo,
ècci qualcun che lo pianta bocconi.
Vuol esser il cardon di tal misura,
un palmo o poco più, che la nattura
smaltir non può si gran cosa et sì dura,
benché noi piaccion sempre e’ gran bocconi.
Tanto è mangiar il cardon senza sale
Quanto far col marito il carnovale,
chè ‘l sugo per se stesso tanto vale
quanto alle non pentite le stazioni.
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