In memoriam • Vent’anni fa scompariva il chitarrista, didatta e musicologo che con la sua ampia messe di pubblicazioni e con l’insegnamento trasmesso ai tanti allievi, soprattutto presso il Conservatorio di Milano, ha lasciato un’eredità incancellabile. Contributi di Elena Casoli, Paolo Cherici, Emanuele Segre e Frédéric Zigante
di Patrizia Luppi
ILlascito materiale di Ruggero Chiesa coincide in massima parte con la grande mole di pubblicazioni da lui realizzate – sempre con la sua casa editrice di riferimento, la Suvini Zerboni – nel corso di una vita professionale consacrata all’affermazione della dignità dello strumento che tanto amava, la chitarra, e al recupero e all’innovazione del repertorio: fondamentali, tra i tanti, i lavori dedicati ai chitarristi-compositori dell’800, come il prediletto Mauro Giuliani.
Sorretto dallo scrupoloso rigore dello studioso, ma anche da un sano pragmatismo e da una vivace attenzione alla realtà, quando, grazie al nuovo diffuso interesse per il repertorio preclassico, vide formarsi una preparata generazione di esecutori su strumenti antichi che prima non esisteva, Chiesa mise da parte le trascrizioni per chitarra di brani per liuto e vihuela che nei decenni precedenti aveva elaborato allo scopo di diffondere musiche cadute nell’oblio: non per questo sono da dimenticare lavori ponderosi come i volumi dedicati a Francesco da Milano e Luis Milán, capisaldi della prima parte della sua attività.
Altro punto fermo del suo operare fu la creazione di una rivista, «Il Fronimo», che ai saggi musicologici accostava pezzi di attualità come interviste a chitarristi e compositori (l’attenzione di Chiesa per la musica contemporanea e il suo impulso alla creazione di nuovi brani per lo strumento fu costante). Per una infelice decisione delle Messaggerie Musicali, che avevano acquisito le Edizioni Suvini Zerboni, dopo la scomparsa del suo fondatore la rivista dovette chiudere i battenti, anche se per poco. È merito dell’impegno incessante di Lena Kokkaliari, che la pubblica e la dirige, se «Il Fronimo» continua a esistere, grazie anche a un agguerrito gruppo di collaboratori.
Sul lascito immateriale di Chiesa non dobbiamo aggiungere nulla: è palpabile nelle testimonianze che abbiamo raccolto, firmate da quattro allievi con i quali intrattenne rapporti non solo di insegnamento, ma anche, nel decollare delle loro carriere (sono concertisti di fama, esperti didatti e musicologi), di affetto e di amicizia. Primo docente di chitarra classica al Conservatorio di Milano, dove rimase fino a quando fu costretto a smettere dalla malattia fatale che lo avrebbe portato alla morte il 14 giugno 1993, aveva ereditato e a lungo mantenne presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena l’insegnamento di trascrizione dalle antiche intavolature che era stato del suo maestro Emilio Pujol.
Proprio a Siena, partecipando alle lezioni di Pujol e ascoltando quelle di Andrés Segovia, Ruggero Chiesa era venuto a contatto in giovane età con un patrimonio di idee e cognizioni alle quali il suo relativo isolamento nella cittadina di Camogli (dove era nato il 1° agosto 1933) non gli aveva permesso fino a quel momento di accedere. Il suo primo approccio con la chitarra fu del tutto casuale, mentre, ancora ragazzo, era semi invalido per una gravissima malattia. Diplomato capitano di lungo corso, da quel momento scelse di lasciare le navi per inoltrarsi nel mare della musica e non si pentì mai della propria decisione.
Versatile – da giovane scriveva canzoni che furono interpretate anche da nomi celebri a quell’epoca come Jimmy Fontana – e interessato a tutti gli aspetti della vita, sempre disponibile a un’occasione festosa nonostante un lato vulnerabile e tormentato del carattere, era ben lontano dal cliché dello studioso arroccato nella sua torre d’avorio. Soprattutto, con gli allievi come con chiunque incontrasse, era aperto e accogliente. Sensibile, spontaneo, era un uomo privo di qualsiasi cinismo: qualità propria delle anime nobili.
Elena Casoli: «La leggerezza e l’essenza di un autentico Maestro»
Una presenza. Non lo si sa quando la si incontra. E non se ne ha consapevolezza quando da giovani si lavora insieme, seguendo il nostro desiderio di crescere, d’imparare. Solo l’istinto ci dice che è una persona da seguire, da ascoltare, che merita la nostra fiducia, che ha un sapere e lo vuole trasmettere. Un Maestro. È così che un Maestro ci guida. Insegna a camminare da soli e poi lascia liberi. Ci trasmette la sua stima per noi, e osserva le nostre scelte, non sempre interviene, anche quando non è d’accordo. Ruggero Chiesa per me così è stato. Un Maestro. Anche quando ho seguito i compositori, la sperimentazione, la sua è stata una presenza curiosa, interessata, colta. Uno dei pochi Maestri del nostro strumento che i compositori conoscono e stimano. Anni dopo, quando ti trovi a preparare i tuoi concerti, a decidere un programma, ad insegnare, ti accorgi di questa presenza. Discreta, positiva, che ribadisce un’etica e un’estetica, o che sostiene. E ancora ti puoi commuovere, perché ti manca. Ma poi ti accorgi che è una presenza, che c’è, nel modo migliore, con la leggerezza e l’essenza di un autentico Maestro.
Paolo Cherici: «Grande sensibilità e buon gusto musicale»
Èdifficile sintetizzare in poche parole il contributo che ha dato Ruggero Chiesa alla chitarra. Tra le tante cose che mi piace sottolineare della sua personalità artistica c’è un aspetto: la grande sensibilità e soprattutto il buon gusto musicale. Non gli ho mai sentito esprimere un commento o un giudizio musicale che non fosse motivato sotto il profilo estetico. Era sempre molto attento, riusciva in qualunque sua scelta ad esprimere un livello estetico notevole. Innanzitutto la sua attività editoriale: in tutto il suo catalogo non c’è un solo pezzo di dubbio gusto. Mi piace sottolineare che in tanti cataloghi chitarristici sono presenti composizioni che forse sarebbe stato meglio non pubblicare. Invece nella sua collana editoriale non c’era un solo brano che non avesse un qualche valore musicale. Questo suo gusto si esprimeva anche a livello interpretativo. Quando da giovane studente facevo lezione con lui, le indicazioni che mi dava erano sempre molto rispettose di quelle che potevano essere le mie scelte, la mia personalità. Al tempo stesso, quando c’era qualcosa che usciva un po’ dai binari di un rigore stilistico, lui era sempre pronto a richiamare, a porre le cose su un binario esecutivo che fosse più plausibile.
Emanuele Segre: «Un punto di riferimento fondamentale per la chitarra»
Ruggero Chiesa è stato un punto di riferimento fondamentale per la chitarra. Si è dedicato in particolare all’insegnamento e alla ricerca musicologica di repertori poco conosciuti e anche inesplorati. A vent’anni dalla scomparsa, mi piace ricordare la sincera passione, il sincero amore che Chiesa aveva per il suo lavoro, per la chitarra e per la musica. Ho studiato al Conservatorio con lui da quando avevo 14 anni fino al mio diploma, nel 1986. È stato un insegnante sempre disponibilissimo, anche per esempio quando ho iniziato a fare i miei primi concerti. Abitavamo molto vicino, proprio a poche centinaia di metri: bastava una telefonata e se avevo bisogno di farmi sentire potevo subito andare a casa sua. Veramente un insegnante straordinario e che ricorderò sempre.
Frédéric Zigante: «Fede incrollabile nel lavoro e nella ricerca»
ILtempo passato allontana a poco a poco il ricordo dei gesti, degli incontri e degli eventi, ma permette anche di vedere con maggiore nitidezza ciò che Ruggero, scomparso vent’anni fa, ci ha lasciato in eredità e che, io credo, accompagna ancora quotidianamente l’attività di molti fra i suoi allievi. Una frase attribuita ad Albert Einstein riassume efficacemente il distillato ultimo del suo messaggio: «Non insegno mai nulla ai miei allievi. Cerco solo di metterli in condizioni di imparare». Voglio ricordare la sua fede incrollabile nel lavoro e nella ricerca, l’idea che soltanto la musica di qualità potesse far crescere un giovane musicista e infine le lezioni la domenica mattina a casa sua, seduti accanto al suo lungo tavolo di lavoro stracolmo di musica, libri e dischi che per me erano un’irresistibile attrazione. Non so se lui mi abbia mai considerato un poco invadente, ma io proprio non potevo resistere alla tentazione di sbirciare tra le sue carte, di fargli domande sui suoi lavori e di carpire qualche nuova scoperta sulla chitarra e la sua musica. Oggi che si è stabilizzato in me una sorta di equilibrio paritario tra il ruolo di studioso e quello di interprete, credo che questo ricordo lo farebbe sorridere.