Intervista • L’interprete dirigerà l’Amsterdam Baroque Orchestra per la chiusura della stagione “O flos colende”. Il programma sarà interamente dedicato a Johann Sebastian Bach
di Michele Manzotti
Se c’è un autore la cui musica sacra (ma anche profana) è considerata tra le vette della creatività umana, questi è Johann Sebastian Bach. Il compositore di Eisenach nel suo catalogo conta infatti Messe, Passioni e un gran numero di Cantate composte per il calendario liturgico. Questa grande mole di musica è stata registrata dal clavicembalista e direttore d’orchestra Ton Koopman. Sarà proprio Koopman con l’Amsterdam Baroque Orchestra (formazione specializzata in esecuzioni con strumenti originali e della quale è il fondatore) a chiudere domenica prossima 8 settembre la stagione di “O flos colende”, rassegna giunta alla sua diciassettesima edizione organizzata dall’Opera del Duomo di Firenze. L’appuntamento è alle 21,15 nella cattedrale di Santa Maria del Fiore (informazioni 055 2302885, opera@operaduomo.firenze.it). Il programma è interamente dedicato a Johann Sebastian Bach, tra pagine strumentali (come la Sonata BWV 1038 e la Pastorale per organo BWV 590) e cantate come Tritt auf die Glaubensbahn (Cammina sul sentiero della fede) BWV 152 posta al termine del concerto.
Maestro Koopman, se dovesse scattare una fotografia sullo stato di salute delle prassi filologiche e sulla percezione del pubblico?
«Una casa è fatta del materiale della sua epoca. Così come la musica a mio parere va interpretata con gli strumenti con cui veniva eseguita originariamente. Il pubblico accoglie bene, ma non è merito tanto dello strumento in sé, quanto della bravura dell’esecutore. E qui il discorso vale per tutti i tipi di musica. Per quanto riguarda gli strumenti antichi inoltre ci sono molti solisti di qualità. Il barocco è un linguaggio che riesce a parlare a tutti, rispetto a quello romantico che nasce come stato personale e per questo contiene in sé una sfera privata. Ascoltare il barocco in pratica è come sentirsi a casa».
Lei è un profondo studioso della musica di Bach. Dopo tanti anni di frequentazione delle sue composizioni, quali sono le emozioni che prova?
«Una grande felicità. Quella di Bach è musica che al tempo stesso parla al cuore e impegna il cervello. E c’è anche un fattore di rischio esecutivo perché ogni battuta non è mai uguale all’altra».
Ci può parlare della Cantata BWV 152 con la quale concluderà il concerto?
«È una delle pagine più alte di Bach a partire dalla Sinfonia iniziale. Si tratta di un’opera giovanile composta negli anni di Weimar. Nel finale inoltre tutti gli strumenti (dall’oboe alla viola d’amore e al violone) suonano all’unisono sotto il dialogo dei due cantanti. Un duetto duetto conclusivo fra l’anima (ricreata dal timbro del soprano) e Gesù (impersonato dal basso). C’è solo un problema legato all’esecuzione: il la ha una frequenza più alta di quella che uso abitualmente perché tutti gli strumenti e le voci suonino adeguatamente insieme».
Dopo aver registrato l’edizione integrale delle Cantate di Bach, quale nuovo progetto discografico sta seguendo?
«A breve usciranno gli ultimi album delle Cantate di Dietrich Buxtehude. È stato un compositore straordinario che Bach conobbe quando aveva 20 anni e dal quale è stato infuenzato. Su disco anni fa si trovavano solo le musiche per organo, mentre adesso sono molto soddisfatto di aver colmato questa lacuna».
© Riproduzione riservata