Con la Filarmonica della Scala ha diretto il pianista giapponese non vedente Nobuyuki Tsujii e il cellista armeno Narek Hakhnazaryan
di Luca Chierici
MILANO NON SI PUÒ ancora permettere la presenza prolungata di un direttore valente come Gergiev, che ad esempio l’anno scorso ha presentato a Parigi il ciclo completo delle sinfonie di Šostakovič, ma si difende come può, viste le difficoltà di questi tempi, e lo fa attraverso la Filarmonica con un singolo concerto dal programma corposo e interessante. Non è da tutti, per prima cosa, dividere locandina e successi con ben due giovani solisti per nulla intimoriti dalla presenza di una figura così carismatica, tanto da concedere addirittura due bis a suggello delle loro prestazioni. Gergiev ha guidato con mano esperta e atteggiamento amorevole il pianista giapponese Nobuyuki Tsujii e il cellista armeno Narek Hakhnazaryan attraverso le note di Prokof’ev e Dutilleux confermando la sua estrema duttilità e la capacità di prosciugare il discorso fino all’essenziale, mirando a restituire al meglio il carattere delle partiture da lui affrontate. Lo si è capito soprattutto attraverso la lettura tesa e per nulla scontata di parti di quel capolavoro rappresentato dalle musiche di scena per Romeo e Giulietta, scritte da Prokofiev a metà degli anni Trenta ed entrate a far parte – nonostante le difficoltà censorie del regime stalinista – del repertorio irrinunciabile di ogni orchestra russa. I numeri più famosi, tra gli oltre cinquanta che compongono il balletto, contengono pagine di musica bellissima e ispirata, di quella che entra facilmente nelle corde dell’ascoltatore e allo stesso tempo soddisfa le richieste dello specialista, affascinato dal magistrale trattamento dell’orchestra e da un linguaggio allo stesso tempo attuale e in sintonia con la tradizione. Gergiev aggredisce la partitura con una scelta di tempi rapidi che non lascia spazio a indugi (si ascolti all’estremo opposto cosa faceva Celibidache negli stessi luoghi!) e lascia che sia il testo scritto – da lui sempre tenuto sotto gli occhi – a parlare allo spettatore. Ecco allora che le emozioni scaturiscono da sole, senza la necessità di gesti plateali (le mani vibranti, gli accenni complici all’orchestra sostituiscono in questo direttore gli atteggiamenti più eleganti ed eloquenti di tanti altri colleghi) o di indicazioni non strettamente necessarie.
Il metodo Gergiev funziona, eccome, anche in quella sorta di concerto per violoncello e orchestra che è Tout un monde lointain di Dutilleux, opera a tratti prolissa ispirata a Baudelaire, di scrittura raffinata e non certo facile nella sua parte solistica. Qui il ventiseienne Hakhnazaryan, primo premio al Concorso Čajkovskij del 2011, ha mostrato quale sia il proprio livello di musicalità e virtuosismo, contendendo a tratti al direttore il primato del protagonismo. Il giovane violoncellista armeno ha come si diceva concesso due bis, elargendo una Sarabanda bachiana di rito e un ben più elettrizzante Capriccio di Alfredo Piatti, faticosissimo e disarmante nella sua ingenua cantabilità.
La serata si era aperta con il terzo Concerto op.26 di Prokof’ev, pagina che da un bel po’ di tempo (su questo tema era stato addirittura concepito un film dal titolo sinistramente profetico di “Competition”) viene scelta insistentemente come biglietto da visita da parte di pianisti di tutti i generi, spesso come dimostrazione della loro eccellenza tecnica. Che il Concerto rappresenti anche un saggio della cosiddetta linea toccatistica o motoria dello stile dell’autore non v’è dubbio, ma se è solo quella caratteristica a prevalere ecco che il risultato è di gran lunga limitante rispetto alle potenzialità di una partitura per altro bellissima e a tratti estremamente lirica. Coetaneo del collega cellista, Nobuyuki Tsujii ha acquisito grande notorietà come vincitore ex-aequo del primo premio al Concorso Van Cliburn del 2009. Wikipedia lo presenta come “nato cieco ma con un grande talento per la musica”, dove la congiunzione intesa in senso avversativo dovrebbe a nostro parere essere sostituita con un semplice “e”. Nel caso di Tsujii l’essere non vedente dalla nascita ostacola solo in parte quella che è la sua abilità alla tastiera. La qualità del suono è sufficientemente apprezzabile nonostante risenta in parte di quella mancanza di affondo dovuta all’assenza dell’applicazione di una tecnica di peso che utilizzi il cosiddetto principio di caduta libera, praticamente impossibile per un pianista cieco. Tsujii lavora sullo scatto orizzontale (tra una pausa e l’altra egli prende in men che non si dica le misure dell’estensione della tastiera, come per memorizzare al millimetro le distanze che gli permetteranno di percuotere i tasti con infallibile precisione) e raggiunge quasi sempre dei risultati che per i pianisti “vedenti” sono a volte affidati al caso. Ciò non toglie che l’esecuzione del Concerto in programma sia risultata molto meccanica e priva di tutte quelle sfumature che possono in parte derivare anche dal dialogo visivo tra solista e direttore. Come meccanica è risultata essere la successiva presentazione della lisztiana Campanella e ancor più della Parafrasi sul Rigoletto, ridotta a un esercizio di destrezza digitale e mancante di qualsivoglia afflato lirico.
Concerto della Filarmonica della Scala Direttore Valery Gergiev Pianista Nobuyuki Tsujii Violoncellista Narek Hakhnazaryan Teatro alla Scala, 10 Marzo 2014
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