L’opera di Rimskij-Korsakov in scena al Teatro alla Scala con la direzione di Daniel Barenboim e la regia di Dmitri Černjakov
di Luca Chierici
LA SCENA PROIETTATA sul sipario del teatro prima dell’inizio dell’opera ci mostra una Russia da cartolina, con personaggi dai coloratissimi costumi caratteristici e una distesa di cupole a cipolla, quasi un invito ad immergersi nel clima evocato dalla vicenda posta in musica da Rimskij-Korsakov negli ultimi anni dell’Ottocento, una tragedia storica ambientata nel sedicesimo secolo ai tempi di Ivan il Terribile, che mescola giochi di potere e intrighi amorosi. Una sposa per lo Zar (nota anche come “La fidanzata dello Zar”) narra di una storia che ci rammenta quella dei manzoniani sposi promessi, con un despota – lo Zar appunto – che per i suoi capricci manda in fumo un matrimonio tanto sospirato dalla protagonista Marfa, votata alla fine alla pazzia proprio come un’eroina belliniana o donizettiana che vede davanti a sé il fantasma dell’amato Lykov. L’eroina dell’originale tragedia di Lev Mej è anche presa di mira dal boiardo Grjaznoj: è lui che tenta di sedurre Marfa con la complicità di un filtro magico, tramutato in vero e proprio veleno fatale dalla ex favorita di Grjaznoi, la bella Ljubasa. La vicenda è purtroppo storicamente verificabile, sia per la presenza dei crudeli Opricniki (un corpo militare appositamente organizzato per sostenere il dominio assoluto del capo supremo) che per la disinvolta e feroce gestione dei matrimoni da parte dello Zar, con tanto di spose affogate, avvelenate, sepolte vive: un primato al cui confronto Enrico VIII si rivela un dilettante.
All’apertura del sipario il pubblico si trova di però fronte a una situazione del tutto differente immaginata da Dmitri Černjakov, regista tra i più discussi del momento, già protagonista di una recente Traviata degli scandali proprio alla Scala e qui impegnato in una produzione collaudata dalla Staatsoper di Berlino. Tcherniakov tenta di riportare il canovaccio originale ai tempi attuali, e lo fa partendo dall’elemento se vogliamo meno appariscente dell’opera, ossia la presenza del potere occulto dello Zar, mediato dai suoi fedeli Opričniki. Pur non essendo mai presente in carne e ossa, lo Zar è continuamente evocato anche dalla musica di Rimskij-Korsakov, che a questo proposito riprende la citazione di un famoso inno (gioioso e solenne, proprio quello che ci vuole per rallegrarsi del dominio del feroce Ivan). Tcherniakov immagina allora che gli Opričniki siano in realtà autori di una colossale operazione mediatica volta a creare la figura di uno Zar inesistente quanto terrificante, un avatar la cui immagine elaborata a partire da potenti software grafici viene di continuo proiettata sugli schermi di una televisione nazionale invadente e pervasiva. E allo zar deve essere abbinata la figura ancora più utile all’entusiasmo credulone del popolo, una splendida ragazza che viene lanciata dal nulla nei palazzi del potere e presa di mira dai media più accreditati. La Russia da cartolina si tramuta quindi in un attrezzatissimo studio di produzione dove cameramen, intervistatori, registi, illustrano a modo loro (e manipolano) la vicenda di Marfa e degli altri personaggi del feuilleton. L’immagine della povera ragazza avvelenata e moribonda verrà infine sostituita sugli schermi da quella di una zarina virtuale, impeccabilmente vestita secondo i dettami della moda, sicura di sé di fronte alle telecamere.
Idea brillante, quella di Černjakov, che sovverte l’impianto tradizionale dell’opera di Rimskij-Korsakov più dal punto di vista scenografico che da quello narrativo e in un certo senso lascia intatto il percorso dell’originale tragica storia d’amore. E se la scena dell’atto III tramuta la rivista da parte dello Zar delle possibili fidanzate in una specie di set da concorso di bellezza, se lo sfondo della prima grande aria di Marfa non è la facciata di un monastero bensì un schermo a 60 pollici che trasmette le immagini di un telegiornale, poco importa. In ogni caso matura in noi sempre più profondamente un convincimento: l’opera lirica può oggi resistere all’assalto del tempo proprio attraverso allestimenti simili, dove la componente visiva è stimolata attraverso l’impatto con le nuove tecnologie.
Che Barenboim fosse stato ammaliato dal fascino della musica di Rimskij-Korsakov lo si era già capito qualche anno fa, quando il pianista aveva accompagnato la seducente Anna Netrebko in un programma liederistico che contemplava la scelta di numerose melodie scritte dal compositore russo. Qui il direttore si è immerso con naturalezza in un contesto musicale tutto sommato non così problematico e ha guidato al successo una compagnia di canto che poteva contare soprattutto sulla presenza di due voci femminili di primissimo piano, quelle di Olga Peretyatko (Marfa) e di Marina Prudenskaya (Ljubasa) cui si aggiungeva, nel ruolo di Ivanovna Saburova, quella di Anna Tomowa-Sintow (oggi settantatreenne), la Marescialla straussiana per la quale Karajan negli anni Settanta aveva dato il benservito alla mitica Schwarzkopf. Martin Kraenzle ha dato voce senza particolari eccellenze al difficile ruolo di Grjaznoj, Pavel Cernoch è stato un fin troppo squillante Lykov e Anatoly Kotscherga ha interpretato in maniera credibile (anche dal punto di vista strettamente vocale) la parte del vecchio genitore di Marfa.
Rimskij-Korsakov – Una sposa per lo zar (Carskaja nevesta) | Teatro alla Scala, Marzo 2014
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