
Il festival dell’ensemble milanese accosta nell’arco di sei densi appuntamenti pagine di affermati e giovani compositori con prime esecuzioni assolute
di Livio Giuliano
BOULEZ, REICH, STOCKHAUSEN, BUSSOTTI, FELDMAN: cinque nomi che in programma sono sufficienti ad attirare come api al miele gli appassionati della musica detta contemporanea. Quel repertorio, così denominato nonostante il lungo tempo oramai trascorso dagli anni del dopoguerra (termine a quo si suole far iniziare la definizione di contemporaneo), è stato in grado di offrire un ventaglio eterogeneo di idee, più o meno fortunate, che ha arricchito il nostro bagaglio musicale. L’attualità di quel Novecento emerge dal confronto con le produzioni odierne, che con quel passato si misurano conseguendo talvolta notevoli risultati.
Il teatro Elfo Puccini ospita dal 1 aprile al 16 giugno la nuova stagione dell’ensemble Sentieri Selvaggi, intitolata Fantasia al potere. Un nome che vuole risollevare gli animi (ahimé, inguaribili) dei numerosi apocalittici, coloro ai quali basta avere un microfono in mano e l’attenzione di pochi per lamentare le umilianti condizioni in cui versa la musica di oggi e la cultura in generale, dimostrando alle volte un certo piacere nel compianto. Accantonando una disposizione d’animo costantemente pessimista che per rimediare alla crisi sarebbe opportuno non contemplare, Sentieri Selvaggi propone un programma di concerti che spinge giovani compositori e musicisti su uno dei palcoscenici più rinomati della città affinché sia noto che la situazione non è poi così tragica. Nessun ricorso alla retorica catastrofista, e questo instilla già del buon umore. Quelli che si dicevano attirati ai sedili dell’Elfo come api al miele potranno comunque godere delle migliori produzioni di quel passato, presentato al pubblico milanese nel primo concerto, Titanic. Non è uno scherzo: è il titolo che Sentieri Selvaggi assengna alla prima data della stagione, non per fare affondare una volta per tutte quel repertorio del Novecento e restituirlo al mito – tutt’altro! – ma perché uno dei pezzi in programma è l’omonima composizione di Gavin Bryars, The Sinking of the Titanic.
Passiamo ai fatti della sera dell’1 aprile al teatro Elfo Puccini. Il primo brano eseguito è Dérive I, di un grande protagonista del Novecento musicale, Pierre Boulez. La scrittura del compositore francese ha forti implicazioni nella costruzione dello spazio acustico: gli accordi percorrono celermente la tastiera del pianoforte, sul cui trillo gli altri strumenti gli fanno eco, generando un rapido spostamento del suono da un punto all’altro del palcoscenico. I suoi pezzi, si sa, obbediscono a una precisione analitica e ad una definizione nel dettaglio tali da rendere necessaria una direzione raffinata e puntuale, merito che bisogna riconoscere al frontman dell’ensemble, Carlo Boccadoro. L’obbedienza alla poetica di Boulez, tuttavia, è sacrificata dall’amplificazione degli strumenti: l’accentramento delle sonorità nell’unica sorgente delle casse castiga lo sviluppo spaziale del suono previsto dal compositore. Quest’enfasi, cui sono obbligati gli strumenti microfonati, collide, inoltre, con l’attitudine di Morton Feldman a far suonare le sorgenti a dinamiche talvolta percepibili a malapena. Le placide, quasi mortifere, atmosfere di Viola in my life (Pierpaolo Sacco alla viola e Andrea Rebaudengo al pianoforte) si contrappongono al nervosismo del pezzo precedente, concedendo un primo momento di distensione all’ascoltatore. La tensione è risollevata con il Concertino per clarinetto e live-electronics: il valido solista, Mirco Ghirardini, offre il suo abile fraseggio ai processori di segnale del compositore, il giovane Maurilio Cacciatore, presente in teatro per gestire l’apparato elettronico. La diffusione del suono, incrementata con alcuni speaker posizionati sul perimetro della sala, si rivela generatrice di invadenti frequenze di segnale, talvolta ai limiti della tollerabilità, talvolta tanto basse da avvertirle nelle ossa, stimolando l’attenzione del pubblico improvvisamente circondato da numerose presenze sonore.
Il pezzo più atteso della serata è Kreuzspiel, per oboe (Remo Peronato), clarinetto basso (Mirco Ghirardini), pianoforte e percussioni, intramontabile hit nella produzione del giovane Karlheinz Stockhausen. Protagonisti dell’esecuzione diventano i tre percussionisti, Andrea Dulbecco, Lorenzo D’Erasmo e Fabio Giannotti, le cui incessanti ritmiche fungono da irrequieto sostrato per le figurazioni schizofreniche degli altri strumenti. Le percussioni previste da Stockhausen tinteggiano l’evento di quel colore esotico cui per natura tende una larga parte della produzione dell’illustre compositore.
Chiude la prima data della stagione, come già preannunciato, The Sinking of the Titanic, l’evocazione sonora della leggendaria tragedia del transatlantico affondato la notte del 14 aprile 1912, scritta nel 1969 dal compositore inglese Gavin Bryars e revisionata a più riprese negli anni successivi. I campioni registrati (testimonianze di sopravvissuti, rumori che richiamano la tragedia o stimoli sonori che provengono dai ricordi dei superstiti), gestiti in live dallo stesso Boccadoro, riesumano idealmente i fondali dell’oceano dai quali emerge l’inno presbiteriano che i musicisti del transatlantico suonarono durante il naufragio ed eseguito sul palcoscenico dell’Elfo dal quartetto d’archi (Pierpaolo Sacco e Enrica Meloni, violino; Paolo Fumagalli, viola; Aya Shimura, violoncello). La tensione generata da Kreuzspiel è appianata da questo simbolico epilogo, tragico e commovente.
La varietà dei pezzi presentati ha privato l’insieme di un ideale percorso narrativo; la scelta sembra essere stata guidata dall’intento di offrire l’ascolto di alcune delle pagine più importanti del repertorio del secolo scorso, non eseguite abbastanza (almeno in terra nostrana) nonostante il peso esercitato. Tuttavia, al di là della citazione cinematografica, se i sentieri sono selvaggi, è perché non sono stati curati, perché non sono stati attraversati abbastanza né ritenuti degni di essere frequentati. La compagnia di Boccadoro li percorrerà nelle prossime date e ci esorta ad esplorarli insieme a loro: accogliamo ben disposti quest’invito.
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