Rivedere dopo quasi vent’anni la scenografia di Beni Montresor; al Teatro Verdi l’OPV diretta da Tiziano Severini
di Elena Filini
«VIA SOPRATTUTTO MOVIMENTI ZUCCHERATI e lezioni, atteggiamenti giapponesi». Così, mentre disponeva sapientemente in magazzino gli alberelli fioriti e i giardinetti di rocce, Beni Montresor si apprestava a mettere in scena, nella stagione 1995-96 al Carlo Felice di Genova, una Butterfly depurata da tutto il calligrafismo che ha costruito ai nostri occhi il Giappone, dai Samurai a Mazinga.
A poco meno di vent’anni di distanza lo spettacolo non ha perso il fascino dell’essenzialità, della misura e della sottrazione. A vestire una scena nuda, abiti di elegante semplicità e soprattutto le luci che, giudicate da alcuni troppo da cartoon, sono invece parse davvero convincenti nel ridisegnare la ripresa a cura di Paolo Giani che ha costituito il secondo titolo di stagione al Teatro Verdi di Padova. L’aspetto più globalmente positivo di questa produzione è rappresentato dalla prestazione musicale: siamo di fronte ad una Butterfly total voice che ha però un punto di debolezza proprio nella protagonista.
Andrea Rost ha un colore brunito e di ottima qualità, tuttavia il suo canto appare forzato sin dall’apparire in scena, con la ricerca di suoni ad effetto a discapito del legato e della tenuta dei fiati. Questo limite si avverte soprattutto nel primo quadro, quando Butterfly dovrebbe esibire tutta l’ingenuità dei suoi quindici anni. Luciano Ganci è un Pinkerton di cui si apprezzano squillo e generosità vocale: scenicamente l’interprete è un po’ generico e le mezze voci sono a volte spoggiate però la sua prova è nel complesso buona. Gli elementi di maggiore spicco in questa produzione sono però Giorgio Caoduro, Sharpless timbratissimo, elegante e nobile (generosamente in scena con fasciatura post slogatura) e da Daniela Innamorati, un Suzuki di lusso grazie ad un mezzo scuro potente, omogeneo, e ad una linea di canto morbidissima e sempre cesellata. Max Renè Cosotti mette al servizio del ruolo di Goro la grandissima esperienza, la perfetta dizione e l’innato senso teatrale insieme ad una vocalità ancora convincente; positive e calibrate le prove di Francesco Milanese (Commissario Imperiale), William Corrò (Principe Yamadori) e Abramo Rosalen (zio Bonzo) ma globalmente funzionali gli apporti del parentado (Gian Luca Zoccatelli, Valentina Barusci, Simonetta Baldin, Silvana Benetti) con una menzione per la fascinosa Kate Pinkerton di Sabrina Vianello. Il coro istruito da Dino Zambello si destreggia con la consueta buona volontà, non sempre sufficiente ad ottenere il risultato auspicato, ma raccogliendo l’applauso dopo il coro a bocca chiusa.
L’altra nota davvero positiva è il ritorno di Tiziano Severini sulla scena operistica a Nord Est: particolarmente felice la sua lettura di Butterfly, salda la mano nel governare una Orchestra di Padova e del Veneto che finalmente nel repertorio operistico esibisce gli indubbi vantaggi di un’orchestra sinfonica, questa volta misurati con un senso diverso degli equilibri scena buca. La lettura di Severini si fa quindi apprezzare perchè riesce ad ottenere dall’orchestra la compattezza di un suono sempre curato, con una maggiore flessibilità alle esigenze della voce.