di Luciana Galliano
C’è un genere musicale di cui bisogna assolutamente parlare: la musica elettronica detta techno. Il Festival Club to Club, che si è svolto a Torino all’inizio di novembre, ha proposto una bella vetrina sulle tendenze e i protagonisti della scena elettronica … giovanile? pop? techno, la parola giusta è techno – che ha mille sfumature: motown (dalle origini a Detroit del genere), house (più lenta, minimalista, ritmi vagamente reggae), garage (la più rumorosa, metallica), dance (con il chiaro ritmo rullante in levare)…
Bisogna parlarne perché rappresenta una quantità di creatività giovanile: sommersi dalla musica riprodotta e dal consumo individuale di riproduzioni musicali, a Detroit e Chicago qualche musicista si inventò di “suonare” i dischi di vinile, recuperando il momento irripetibile e sublime della musica dal vivo (e ancora oggi molti DJ viaggiano con il loro pesante e irrinunciabile bagaglio di LP). La maggior parte invece ha tutto il proprio repertorio su chiavette, su cui agire con consolle sempre più avveniristiche; il genere dei DJ non è ancora diventato un patrimonio atrofizzato nelle glorie del passato. Anche se, come ha fatto notare nel corso della presentazione di un suo libro uno dei grandi DJ presenti a Club to Club, Laurent Garnier, il suo pubblico ventenne ascolta in realtà una musica che apparterrebbe piuttosto ai genitori… In effetti negli anni ’70 nasceva il genere dell’elettronica pop, con il fall out dei grandi studi di musica elettronica che fecondava gruppi progressive come i Pink Floyd o i Van der Graf, e pare che fra i DJ siano ancora apprezzatissimi i vecchi sintetizzatori o campionatori, come il Moog o l’ARP – anche se va molto costruirseli da sé, ciò che la tecnologia ormai permette.
In 5 giorni il festival ha presentato più di 50 artisti provenienti da 15 paesi del mondo, che hanno dato vita ad un’esperienza unica con oltre 70 performance, tra le quali 18 act in esclusiva italiana e ben 12 prime assolute. Le vere star hanno suonato fra le 3 e le 5 di mattino (ehm… di notte) e si sono registrate 45.000 presenze, per 40 ore di musica – dal molto sperimentale alla dance più affabile (anche se i sub-woofer mettono in vibrazione anche gli organi interni!) – che hanno abbastanza rappresentato un viaggio globale nei nuovi suoni del pubblico giovane, coronato dagli show stellari di Junun (Jonny Greenwood già Radiohead), Dj Shadow, Arca (che ha suonato un incredibile lungo brano ipnotico volendo il buio totale) , Elvis e Autechre: grandi artisti visionari, vertigini sonore futuristiche, l’attualità a diverse latitudini.
Massimo visionario Arto Lindsay, che ha offerto nella cornice del Conservatorio la sua creativa versione: suoni martellati e martellanti, ritmo senza una vera “musica”, uniti alla sua esile voce che canta versi estremamente poetici su melodie gentili… La concezione di Club to Club rimane asceticamente purista rispetto alla maggior parte dei festival di dance, attualmente sostenuti dal boom del mercato di massa, che ha fatto la fortuna di DJ populisti come Afrojack.
Bisogna dunque almeno sapere di che si tratta, cos’è questa musica che attira decine di migliaia di ravers adolescenti in cyberwear sgargianti, hipsters elaboratamente barbuti, ragazzi muscolosi e agili ragazze dall’aria libera, bohémien ingrigiti e orde di maniaci della musica elettronica con le T-shirt dei propri idoli: un mondo colorato e vivace che ama la sua musica contemporanea, dal vivo.