di Santi Calabrò foto © Giacomo Orlando
Sakùntala è l’opera più nota di Franco Alfano, un compositore di alto spessore, con un catalogo di musica strumentale, oltre che di opere, che non si può ignorare. Detto questo, un’opera è fatta di tante componenti: musica, parole, dramma e, non ultima, reciproca integrazione. La musica di Sakùntala è di altissimo livello, e non sfigura certo a petto delle opere esotiche e di argomento mitico del Novecento; il testo – sempre di Alfano – lascia di per sé qualche perplessità, in quanto rispetto al linguaggio musicale è ben più passatista, nel solco della tradizione del melodramma italiano; il ritmo drammaturgico è un po’ statico, ma complessivamente efficace, soprattutto nel terzo atto.
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Sul versante dell’integrazione degli elementi si annidano le insidie più sottili al risultato finale: perché l’evidenza di stilemi melodrammatici diventa eccessiva quando la forma musicale non procede per via di arie e cabalette; perché da tale emergenza le componenti individuali e psicologiche risultano qui tipizzate, imborghesite e – tanto più in un contesto in cui devono proiettarsi in una cornice panica, universale e sacrale – fatalmente degradate; e perché l’integrazione tra simboli e situazione scenica è problematica, al punto da sfiorare a volte la comicità involontaria. «Chi è che osa molestar la fanciulla?», tuona il tenore mentre Sakùntala è insidiata dalla puntura di un’ape, insetto notoriamente pavido di fronte ai richiami di un re…
La connessione simbolica – la puntura dell’amore, dolorosa e foriera di guai, insieme al dolce miele dell’eros – resta qui solo nelle intenzioni. Tuttavia, soprattutto per merito della musica, una buona esecuzione di Sakùntala “tiene”. Il buon successo decretato dal pubblico del Teatro di Catania premia il coraggio di un Teatro che include in stagione proposte non banali e che si va risollevando, dopo problemi economici che in anni recenti avevano fatto paventare la chiusura. Massimo Gasparon, regista dell’allestimento catanese, accentua sia la componente fiabesca dell’opera che la sua religiosità, ambientandola in una scena con tradizionali fondali dipinti e semplificando i movimenti, soprattutto quelli del coro. Silvia Dalla Benetta regala al personaggio di Sakùntala la sua pregevole colorazione, Enrique Ferrer è un Re dalla vocalità elegante; cantano bene anche Kamelia Kader, Nelya Kravchenko e Paolo La Delfa, mentre efficacemente sacrale risulta Francesco Palmieri (Kanva, capo degli eremiti e padre adottivo della protagonista), che però non domina tutta l’escursione richiesta dal suo ruolo e offre una prova più discontinua. Di Niksa Bareza, direttore che ha fatto un gran lavoro di concertazione con l’orchestra, e di Ross Craigmile, maestro del coro, non si può che dire bene.
Da ricordare infine che la scelta del Teatro di Catania è andata verso la versione dell’opera ricostruita dallo stesso Alfano per la messa in scena del 1952 al Teatro dell’Opera di Roma: si riteneva che la partitura e i materiali d’orchestra fossero stati distrutti nei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel 2006 una copia della partitura originale del 1921 – dal titolo La leggenda di Sakùntala – è stata scoperta negli archivi Ricordi, ed è stata utilizzata per la prima esecuzione moderna nella forma originaria, sempre a Roma. Decisamente, si tratta di una bella sfida per la filologia. Il destino di Alfano, in ogni caso, sembra dominato dai raffronti: se non si scivola nel tormentone che riguarda Puccini e il finale di Turandot composto da Alfano, si può sempre confrontare Alfano con se stesso!
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