di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
Un tuffo nel passato, non quello di Violetta Valery ma quello più recente di una regìa di Liliana Cavani che precedette il discusso allestimento di Černjakov del 2013, ha fatto da sfondo a una ripresa di Traviata alla Scala che sta cogliendo un successo di pubblico di incredibile entità. Un pubblico retrogrado che è stufo delle regìe moderne e delle edizioni critiche? Può darsi, ma sta di fatto che lo spettacolo è spettacolo e se per una volta si sceglie di andare controcorrente ben venga, basta che l’operazione dimostri una sufficiente coerenza e che non vi siano elementi in aperta contraddizione tra loro.
La scelta di affidare Traviata a Nello Santi, un direttore custode di certa tradizione che le generazioni più giovani hanno a più riprese tentato – con successo – di scalzare, è frutto del lungo lavoro del direttore veneto all’Opernhaus di Zurigo e quindi del rapporto di stima reciproca che si era instaurato tra lui e il Sovrintendente Pereira. L’operazione ha tenuto conto dei rischi cui il Teatro andava incontro, ma non sono bastati alcuni dissensi del loggione per sminuire la presenza di un direttore che con il grande repertorio ha fatto i propri conti da innumerevoli anni.
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Non è una questione di scelta di tempi lenti, come si è voluto sottolineare da molte parti. Semmai manca a Santi la capacità di entrare in un dettaglio di concertazione che dovrebbe arricchire il messaggio musicale complessivo del capolavoro verdiano, non limitarne la portata ricorrendo alla semplice narrazione dei fatti. Ma accusare Santi di non essere se stesso, ossia di affrontare di petto il repertorio tradizionale senza porsi troppe domande e farsi troppi scrupoli filologici, è ovviamente operazione scorretta e inutile e il direttore ha più che meritato le ovazioni di un pubblico entusiasta che, volenti o nolenti, fa parte del “sistema Scala”. Del resto se un direttore più aggiornato di Santi non sa coniugare scrupolo scientifico e capacità di analisi con una buona capacità di porgere anche il lato più diretto di una partitura ottocentesca, ecco che si ricade nel difetto opposto: la filologia che copre la mancanza di idee. Tranquilli dovrebbero stare oltretutto i loggionisti quando inzìgano alla rivolta gridando “povero Verdi” dopo il coro delle zingarelle e dei toreri tirato via da Santi senza troppi problemi, credendo implicitamente che in quelle battute si racchiuda chissà quale “grande musica”. Ma hanno costoro mai ascoltato le prove toscaniniane della Traviata? Hanno mai colto la sottile ironia con la quale il sommo Arturo canticchia in quel luogo i motivetti verdiani ?
Ad accrescere la temperatura della serata ha certamente contribuito Anna Netrebko, cantante che ha capito benissimo quale sia la maniera più corretta per districarsi in un mondo che deve strizzare un occhio alla filologìa e a un nuovo gusto scenico e registico e allo stesso tempo recuperare il lato più accattivante della tradizione. Tutto questo la Netrebko lo sa fare in maniera impareggiabile, al di là delle proprie eccellenti qualità musicali, vocali e attoriali. Altro decano in cartellone, Leo Nucci ha questa volta posto l’accento sulla qualità dell’interpretazione e, forte del fatto che il proprio ruolo fosse del tutto in linea con una certa condizione anagrafica, ha restituito un Germont del tutto credibile, appassionato, e per nulla penalizzato sotto l’aspetto vocale.
Francesco Meli è un artista di grande spessore e la sua performance è stata giocata in parte sull’equivoco implicito nelle caratteristiche del personaggio, un giovane che è molto più irruento e meno saggio dell’amante. Intendiamo dire che la fragilità dei contorni del ruolo teatrale di Alfredo si sposa a volte con una certa ingenuità del ruolo vocale. Alfredo è del resto anche così e se l’Alfredo di Meli non ha la perentorietà di quello di altri tenori che lo hanno preceduto in un passato glorioso ciò è perfettamente in linea con i lineamenti di un carattere non facile da definire. I comprimari sono stati tutti all’altezza della situazione e hanno contribuito in egual misura al successo della serata, come del resto è stato il caso del Coro, splendido come sempre quando si tratta di ribadire la propria dimestichezza assoluta con il linguaggio verdiano. Applausi affettuosissimi per tutti e in particolare a Nello Santi, che ad ogni inizio d’atto doveva arrampicarsi a fatica sul podio, quasi come se dovesse lottare contro la gravità emanante da chissà quale singolarità spazio-temporale.
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